venerdì 8 maggio 2009

I "Noi" là fuori


"Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese.Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese"


"40 anni e non ho fatto nulla di cui essere orgoglioso"


Harvey Milk è l’ennesima consacrazione di un Artista senza imperfezioni. Non chiedetemi di rimanere imparziale di fronte a Sean Penn. E’ come chiedere ad un aquilone di non seguire il vento. E’ come guardare un’alba senza rimanerne stupiti. Se la bellezza davvero esiste, prende forma nella bravura di Sean Penn.
Non posso recensire la perfezione, ogni pensiero la renderebbe banale. Non chiedetemi di ingabbiare la bellezza in parole semplici. Ciascuna lettera, ogni parola e ancora frase ne ridurrebbe il senso profondo. Come si può descrivere il suo gesticolare, un’espressione del viso che rispecchia esattamente lo stato d’animo in cui dovrebbe trovarsi o le sue metamorfosi? Tutti tasselli straordinariamente allineati a modellare una bravura inarrivabile. Questo post non sarà un’usuale recensione, dunque. Oltre al (doveroso) tributo all’attore che mi ha avvicinata alla settima Arte in un modo così intimo ed inalienabile, vi è una comunicazione ufficiosa. Una presa di coscienza, forse revocabile ma comunque necessaria. Voglio essere sincera con Voi, sempre.
Questo post è dedicato a coloro che, nella frenesia quotidiana, hanno ancora la forza di sostenere un sogno. Di dar voce ai desideri e di cercarne di nuovi ad ogni risveglio. Proprio come Milk, il primo consigliere comunale dichiaratamente gay che ha lottato con speranza ed abnegazione per i diritti degli omosessuali. Ad ogni desiderio realizzato, ve n’è uno successivo che lo sostituisce. La sete di ambizione permette all’uomo di vivere con virtù.
Se i sogni restano tali, allora non sono sogni. Il mio era quello di arrivare a Voi attraverso la mia emozione. Mediante la mia umile vena artistica, volevo raggiungerVi sentendomi un poco speciale. E così è accaduto. Le vostre E-Mail, i commenti pubblici e no sono e saranno un continuo sostegno per un sogno che ha appena preso il volo ma che, per un sentimento personale, ha bisogno di fermarsi. Ogni viaggio ha le sue incertezze. Ogni ingordigia ha la sua sazietà.
Sono di fronte ad una scelta difficile e necessito di nuovo della Vostra collaborazione. Accogliete queste mie parole con la medesima autenticità con cui sempre ci siamo “incontrati”. Sean Penn, stasera, mi ha fatto riflettere sul bisogno che ho di emozionarmi. Ma con l’integrità di me stessa, senza avvertire il vincolo di stringere in una morsa fatta di parole le mie sensazioni.
Ho bisogno di noleggiare una pellicola ogni notte, senza quella stretta alla gola che è la responsabilità di questo meraviglioso Mondo parallelo che si è venuto a creare fra Noi. Questa “Finestra” mi ha spalancato verso una dimensione che mi intimoriva. L’ignoto ed il remoto mi scuotevano, ora fanno parte di me. Attraverso questo Blog ho “sfiorato” visi di cui non conosco identità, ho ricevuto consensi e gratitudine da chissà quale altra fetta di quotidiano. E’ uno “scambio” di cui non farei a meno mai, mi appartiene e lo custodisco gelosamente.
Questo post è dedicato a quei “Noi” che con coscienza e irrazionalità amiamo i cinque sensi. Che riconosciamo le sensazioni e non le minimizziamo per paura di indebolirci. Ai fragili che sono fieri di questa debolezza. Agli artisti, piccoli e grandi, che prima di tutto scelgono di interpretare loro stessi. A chi come me, si è fermato a riflettere troppe volte. A chi ha il coraggio ogni giorno di riaccendere la speranza. A chi, a piccoli passi, ha fatto grande il mondo. Questo post è dedicato all’Amore grande che ho provato e che non proverò mai più. Al dolore di averlo perduto e all’orgoglio con cui lo porto dentro. Quando una persona ti si conficca nel cuore se la lasci andare si porterà via un pezzo di te. Agli Amici che sono accanto a me, ogni giorno. A quelli che non lo sono, ma il semplice pensiero ci unisce. A chi, nell’ombra, mi legge e non lo ha mai detto. A chi timidamente mi sostiene. A chi a gran voce mi sorregge. Alla mia famiglia perché sono coloro che amo più di tutto. Agli sconosciuti a cui non ho dato la giusta importanza. A chi mi emoziona. A Sean Penn perché è il mio mito.
Questo Post è dedicato ai Vostri occhi e al Vostro cuore che, nella semplicità, mantengono in vita la mia “Arte”. Mi prendo una pausa per riflettere, per il bene dei miei occhi stanchi. Per ora è giusto così.
{a meno che, Sean Penn, non venga sotto la mia finestra con megafono e corteo a chiedermi di continuare a scrivere}


Con autentico Affetto.
Chiara


“Sappiamo bene che non si può vivere di sola speranza, ma senza la speranza la vita non vale la pena di essere vissuta”

mercoledì 6 maggio 2009

Lampi di genio (capitolo 9)


Puntata andata in onda il 01 Febbraio 2009

- House (Hugh Laurie) “Tredici infila un ago nella zona pelvica della tua amichetta… no, guarda che non è una metafora… succhiale un po’ di midollo osseo… questa invece lo era”
- House, si accomoda sul divano di Wilson “Non mi sedevo qui da almeno quattro mesi… c’è ancora la forma delle mie chiappe”
- La paziente ha evidenti impedimenti alla lacrimazione “Le servirebbe una storia strappalacrime, mi spiace non ho avuto tempo di passare da Wilson”
- Paziente “Allora io guarirò” – House “Metilpredinsolone per tenere sotto controllo la Sjögren e lacrime artificiali per vivere questo momento con il massimo del pathos”
- Kutner (Kal Penn) “Un fattore genetico” – House “O?” – “Tredici” (Olivia Wilde) “Se conosce già la risposta ci può dire qual è?” – House ”Non conosco la risposta il che ci riporta a “O?” “
- House volontariamente versa qualcosa sulla spalla della Cuddy (Lisa Edelstein) “Ehi, ma cosa fai?” – House “Vomito di neonato, in maternità distribuivano campioni gratuiti”
- House “Vorrei il tuo consiglio” nel dire questo getta la cartella clinica sulla scrivania, Wilson (Robert Sean Leonard) senza nemmeno aprirla “Non è cancro” – “WOW! Sai anche rimuovere le milze con il pensiero?”
- Wilson in una metafora “Tu ti senti minacciato perché lei va alle superiori e ti lascia indietro a ripetere la III media” – House “Va a letto con l’insegnante di scienze per avere il diploma”
- House “Il paziente perde sangue da ogni orifizio, potrebbe essere un problema vascolare”- Kutner “Vasculite” – “Se avessi detto infiammazione alla prostata tu avresti detto PROSTATITE?”
- Taub (Peter Jacobson) “Anche se fosse così ha bisogno di un trapianto di rene” – House “Fate i test alla figlia” – “Ha 12 anni” – “Con un rene piccolo non farà molta pipì… perfetto per i viaggi in macchina”
- Cuddy “House ti ha spiegato che in tutti gli interventi ci sono dei rischi? Potresti morire…” – House “E se non lo fai, morirà tuo padre” – “Smetti di farle pressione” – “Scusa. Papà scoppia di salute ma voglio che tu gli regali un rene perché è fico che ne abbia tre”

Poi ho perso il conto delle puntate ultime
- House "Chiunque odierebbe l'umanità dopo che gli hanno sparato. Solo un grand'uomo la odierebbe a prescindere"
- House "E' stato solo un bacio" - Cuddy "C'è una spiegazione" - "Sì, quelle due cose nel reggiseno... immense"
- House "Scusa, c'è più campo se te ne vai"
- Cuddy "Stai bene?" - House "Sì, non serve parlare" - "Alla mano" - "Curioso, di solito non mi vengono mai le estigmate prima di Pasqua"
- House "Perchè non vai in un videonoleggio e dici a tutti che Kevin Spacey è Keyser Soze? Fra parentesi, il finale non ha senso"

martedì 28 aprile 2009

Un’amicizia… di cuore


Partirei dal ricordo di una chiacchierata semplice. Il frutto di una casualità, come del resto lo è anche il punto di partenza: imprevedibile, come un raggio di sole fra le nuvole grigie. Così definirei questa profonda amicizia raccontata dall’occhio vigile e sensibile di Francesca Archibugi: il calore di un’inaspettata occhiata di sole, in un pomeriggio cupo.
Il fotogramma più bello, dunque, è quello di Angelo (Kim Rossi Stuart), pallido e smagrito, accanto all’amico Alberto, supini su un letto matrimoniale che dovranno condividere in un contesto casuale quanto sincero: le risate si ascoltano volentieri, si respira così tanta sofferenza che il suono arriva suadente e soprattutto vero. Pare che l’allegria del momento sia spontanea, voluta e senza traccia di un copione. E, sinceramente, voglio continuare ad immaginare che sia così.
La naturalezza di cui si fa carico questa pellicola, non è altro che il risultato di una scelta appropriata: Antonio Albanese vive un ruolo del tutto nuovo ed in questa trasformazione si apprezza maggiormente la sua intensa capacità di comunicare. Un uomo colto, intelligente e solo prigioniero di paure e della sua stessa creatività. Kim Rossi Stuart, invece, acquista una luce nuova mentre il suo personaggio scompare, divorato dalla malattia. I primi piani accentuano la sua ineccepibile bellezza, racchiusa in quelle mani da lavoratore instancabile, in quel viso scavato di chi non mangia da giorni e in quegli occhi che non riposano felici da tempo.
Il tutto incorniciato da un intreccio di realtà differenti, separate dai pregiudizi ma accomunate da uno stesso dolore. Un’amicizia che, nel cammino, diviene dapprima sincera ed infine irrinunciabile. La condivisione di una sofferenza si trasforma in una delicata intrusione nella vita dell’altro, sino a conoscerne le debolezze, le sfumature, le ragioni: la vita dell’uno colma i vuoti dell’altro, e viceversa. Un film che porta a riflettere sui paradossi dell’amicizia, sull’autenticità e sulla necessità di questo sentimento.
Una trama che calibra accuratamente commedia (la partecipazione di Verdone nel ruolo ipocondriaco di se stesso, ne è un esempio) e drammaticità, dando a qualunque interprete la possibilità di sentirsi svincolato da un imperativo copione.
Il cinema trasmette sensazioni, il dovere dello spettatore è quello di viverle e mantenerle nel tempo. Questo film non è un capolavoro ma, nella sua piccola storia, racchiude tante emozioni.
Trama
Angelo (Kim Rossi Stuart) è un giovane carrozziere con una bella famiglia, un lavoro redditizio ed uno spirito instancabile. Alberto vive una vita rumorosa, come il suo carattere, ama le donne, la bella vita e il disequilibrio. Nella stessa notte, i due, vengono ricoverati nello medesimo ospedale: i loro cuori si ingrippano nello stesso istante. Sin da subito si percepisce quanto la forza dell’uno compensi la debolezza dell’altro e, da quella notte, due quotidianità così differenti diverranno una sola vita.
Citazioni
- Angelo (Kim Rossi Stuart) "... e perché “er caffè” deve essere “ar vetro”?!? Cosa cambia"
Carta d'identità
Titolo italiano: Questione di cuore
Data di uscita (in Italia): 17 Aprile 2009
Genere: Drammatico
Durata: 102'
Regia: Francesca Archibugi
Cast: Kim Rossi Stuart, Antonio Albanese, Micaela Ramazzotti, Paolo Villaggio, Francesca Inaudi, Francesca Antonelli, Chiara Noschese, Nelsi Xhemalaj, Carlo Verdone
Da vedere: il cinema italiano merita occhi attenti. Antonio Albanese è assolutamente impeccabile. Kim Rossi Stuart lo asseconda con intelligenza. Un film che non si vergogna dei sentimenti. Non li elude, piuttosto li intensifica. Dolce e malinconico.

sabato 11 aprile 2009

Il bambino che sapeva volare


L’agrodolce favola del piccolo Bruno (Asa Butterfield) riempie il cuore di sofferenze taciute e gli occhi di lacrime tormentate. L’urlo di una madre che ha la consapevolezza di aver perso tutto e il silenzio di un padre rigido che, con il potere, ha scavato la propria rovina. Gli ultimi istanti sono un tumulto di sensazioni, si viene inghiottiti da una catastrofe che inarrestabile si delinea davanti agli occhi: inaccettabile, intensa, ineluttabile.
E pensare che, sino a quel momento, gli occhi di Bruno erano divenuti i nostri, la sua ingenuità la nostra speranza, le sue corse nel bosco prendevano fiato nelle nostre attese. “Il bambino con il pigiama a righe”, tratto dall’omonimo romanzo di John Boyne, è una favola che si compie a piccoli passi, nel quale Mark Herman prende per mano lo spettatore in modo delicato, rispettoso e con il dovuto riserbo come farebbe un bambino di fronte ad un adulto sconosciuto.
La bellezza di questo film è nascosta nella sua adattabilità ovvero pur facendo prevalere l’innocenza e la spensieratezza di un bambino non dimentica l’arroganza e l’ipocrisia dell’adulto. Di fronte alla tragedia si ha un prisma di punti di vista che offrono al film sfaccettature differenti a seconda dell’età dello spettatore. Questa realtà si compensa con le incertezze degli interpreti, i cui ruoli molto spesso perdono la consistenza e si sfiorano sino a fondersi: una sorella che scava nel mondo degli adulti sino a sentirsi parte di esso, una madre che ignora la realtà dei fatti anche quando questi si presentano come ovvi.
Il piccolo Bruno resta l’eroe su cui far fede: i suoi grandi occhi azzurri cercano avventure, la sua sincera curiosità viaggia insieme alla fantasia e quando anche le sue gambe inseguono la sua immaginazione si ha la sensazione di aver valicato la barriera della certezza, tutto quel che si vivrà al di là di quel bosco ha il respiro del dolore.
Subentra così il piccolo Shmuel (Jack Scanlon) e con il suo personaggio pare prendano vita barriere dapprima invisibili; la prima è chiaramente quella tangibile rete metallica che separa le due realtà, ma non il desiderio di restare bambini nonostante tutto. Bruno, abbigliato in modo impeccabile, sempre carico di doni per il suo nuovo amico, comprende quotidianamente realtà nuove. Shmuel, dal canto suo, indossa il solito “pigiama”, ha il viso sporco e i denti da troppo tempo trascurati, da quest’incontro ne ricava cibo e parole, allontanando una solitudine che a quell’età non dovrebbe esistere. Ma le barriere esistono anche nei rapporti umani, di adulti che non accettano le realtà dell’altro, di crudeltà ingiustificate, di sguardi che non hanno il coraggio di sconfinare nei sogni.
A conclusione di questa favola amara il dolore, determinato dal senso di perdita, sarà così grande quasi da cancellare la scena a mio avviso più intensa del film, che trasmette quella commozione inaspettata che serra la gola: il dialogo fra Bruno e Pavel (David Hayman), il prigioniero ebreo che lavora in casa. In quel viso scavato e pallido, in quella voce flebile e negli occhi arrossati di chi merita un futuro adeguato, leggiamo una storia di crudeltà umana che non possiamo dimenticare.
Ed il silenzio prolungato prima di quel “Grazie” insperato sussurrato dalla signora Elsa (Vera Farmiga) al medico Pavel (perché è quella la professione di cui è degno), lo ritroviamo verso la fine della vicenda, quando in un trambusto di suoni ed immagini la porta del forno si chiude lasciandosi alle spalle migliaia di vittime innocenti. Solo un silenzio meditativo può accompagnare con dignità l’intensità di questi fotogrammi.
L’agonia che silenziosamente si farà largo in sala, non risanerà mai il debito di crudeltà umana che abbiamo con la storia.
I bambini passano notti insonni quando li attende un grande giorno. Aprono le braccia e fingono di saper volare. E, al di là dei sogni, vi sono ancora sogni. Ma questa è realtà.
Trama
Berlino, anni Quaranta. Quando l’ufficiale Ralf (David Thewlis) viene promosso ad alti incarichi, la sua famiglia viene costretta a trasferirsi in campagna. Il piccolo Bruno (Asa Butterfield) è infelice nella nuova dimora, si annoia quotidianamente e si sente molto solo. Questa condizione cambia in modo repentino quando, al di là del bosco, scorge una strana “fattoria” nel quale i “contadini” indossano un insolito pigiama e dalle ciminiere si alza un olezzo insopportabile. La curiosità e l’ingenuità guideranno Bruno verso una realtà a lui sconosciuta nel quale il piccolo Shmuel è costretto a vivere: fra i due nascerà una solida amicizia, dove ai due verrà restituita quella felicità che gli adulti abbandonano nel tempo.
Citazioni
- - Bruno (Asa Butterfield) "Te lo avevo detto che sono strani" - Elsa (Vera Farmiga) "Chi?" - "I contadini no, vanno in giro in pigiama"
- "L'amicizia può unire quello che le barriere dividono"
- Shmuel (Jack Scanlon) "Noi non doremo essere amici , dovremo essere nemici"
- Bruno "Ma non è un nome Shmuel, nessuno si chiama così"
- Bruno "Mio padre è un soldato, ma non di quelli che rubano i vestiti alle persone"
- Il nonno (Richard Johnson) "Il lavoro che tuo padre fa qui rimarrà nella storia"
- Bruno "Potresti venire in vacanza da me a Berlino quando tutti andranno di nuovo d 'accordo"
- Bruno "Non ti preoccupare,ci faranno aspettare quì fino a quando non smette di piovere"
Carta d'identità
Titolo originale: The Boy in the Striped Pyjamas
Titolo italiano: Il bambino con il pigiama a righe
Data di uscita (in Italia): 19 Dicembre 2008
Genere: Drammatico
Durata: 100'
Regia: Mark Herman
Cast: David Thewlis, Vera Farmiga, Rupert Friend, Iván Verebély, Richard Johnson, Sheila Hancock, Jim Norton, David Heyman, Asa Butterfield
Da vedere: Per piangere quelle lacrime taciute e reali. Di una crudeltà tangibile, che provoca dolore, che lo si porta appresso come un debito mai saldato. Toccante.

domenica 5 aprile 2009

Emozioni a sei corde


C’è e si percepisce una perfetta mescolanza di passione, intelligenza e raffinatezza. Debutto con “Arrowhead” del maestoso Michael Hedges, tanto per ricordare che qualunque arte individuale prende vita dalle grandi emozioni, seguita da un tributo legittimo ad “Anima Meccanica” album d’esordio in uscita a Maggio.
Giovanni Baglioni ha 26 anni ma ha già l’abilità dell’artista consapevole, capace di intrattenere un pubblico eterogeneo, a tratti ammaliare anche orecchie inesperte e altresì mantenere l’umiltà di esordiente.
Giovanni ha la saggezza di introdurre ogni suo brano con una breve cronistoria legata all’origine di ciascuno, preparando lo spettatore ad una particolare sensazione. Come se, le parole, fossero utili a disegnare un contorno, ma solo le note fossero in grado di riempirlo di colori e sfumature donandogli il confacente significato. Primo su tutti è, senza dubbio, “Anima Meccanica”, un brano suggestivo, scandito da ritmicità differenti consone alla “vita” quotidiana di un grande orologio. Come l’evocativo “Rubik”, un mosaico di tasselli musicali tanto differenti quanto curiosamente complementari.
Il sentore di un’atmosfera seducente sulle note di “Sirena” e profondamente intima in “Dalla Cenere”, catturano, incantano e trascinano. L’abilità di Giovanni sta in questo ricreare atmosfere differenti, ricche di significato, entrando in perfetta armonia con la sua chitarra: gli occhi spesso chiusi sono sinonimo di concentrazione ed intensità, come le sue movenze indicano un coinvolgimento universale capace di prendere vita dalle corde sino a raggiungere l’intimità dello spettatore.
Il racconto a cui sono particolarmente legata è quello di presentazione per “Quando Cade Una Stella”, uno dei pezzi che mi somiglia di più; malinconico e riflessivo, racconta il ricordo di un Amore importante e finito, ma così intenso da vincere il tempo.
Accade di sconfinare anche verso sonorità vagamente funky con uno dei miei due brani preferiti, “Bloody Finger” senza il timore di eccedere a cadenze ritmate e dinamiche come quelle di “Get Up!”. Osare è anche pensare, comporre e arrangiare un brano (“Pino”) per omaggiare il proprio Maestro, in questo caso Pino Forastiere. Un brano complesso e nel contempo intuitivo, la cui esecuzione merita sempre una particolare attenzione per completezza di tecnica.
Per intuizione, “L’insonne” è forse la composizione a cui l’artista è legato di più. Nell’ascolto mi sovviene sempre “Layover” (di Hedges), per il carico di intensità che si porta appresso il pezzo molto spesso pare respirare.
Infine a chiudere il decalogo di “Anima Meccanica”, c’è “Bijoux”: una delle prime composizioni di Giovanni (ma non per questo minori) e soprattutto superstite della sua pignoleria artistica. Un pezzo semplice, vivace e spontaneo. Non nascondo che sia il brano a cui devo l’emozione più grande.
Ma l’essere spettatrice (complice un’atmosfera nuova per la sua musica, il “Blue Note” di Milano - tempio sacro del Jazz) mi pare sia il regalo più bello.
E, nonostante la meritata acclamazione, esserci e basta.

lunedì 23 marzo 2009

Un eroe dagli occhi di ghiaccio


Timide risate, a tratti addirittura disinibite, e successivamente un silenzio grave. Ogni pellicola del regista dagli occhi di ghiaccio, o almeno in quelle che ho visionato personalmente, gli ultimi minuti costringono ad un rituale silenzio. La sorpresa, l’intensa commozione e la conseguente riflessione portano lo spettatore a chiudersi in un guscio impenetrabile; e se così non fosse o non si ha compreso nulla o si ha sbagliato film.
Clint appare affaticato, piegato da una malattia che incombe, perseguitato da un passato da soldato durante la guerra di Corea che ha tracciato in lui uno spirito razzista, un odio spietato verso il “diverso”, un desiderio di solitudine. Eastwood è intrappolato in un personaggio irriverente, carico di disprezzo, temuto dai suoi stessi familiari che, immaginandosi vittime della sua sfrontatezza, evitano qualunque raffronto. In una casa troppo grande per contenere il vuoto lasciato dalla moglie appena scomparsa, troviamo molto spesso Walt seduto in veranda a scolarsi birre americane, masticare tabacco e osservare il mondo intorno a lui che cambia ad ogni passo.
L’interpretazione di Eastwood è (inutile affermarlo ma doveroso) impeccabile. Eppure, nonostante fosse una certezza, non smette di stupire. Intenerisce lo sforzo con cui affronta una sempre più evidente malattia, diverte e poi preoccupa la sua sete di vendetta, ogni sua piccola riscossa smuove le emozioni. Lungo il perdurare della pellicola i suoi brontolii verso ogni cosa, le sue espressioni costantemente rabbiose non fanno più cronaca in quanto si cuciono addosso perfettamente al personaggio e lo spettatore impara a conoscerlo brutale e rozzo. Ma, in un istante preciso, Walt apre le sue difese e lascia passare uno spiraglio di comprensione. E’ qui che percepiamo l’unicità di un attore straordinario, la sua inarrivabile capacità comunicativa: il suo personaggio cupo diviene a volte luce a volte ombra, stupiscono i sorrisi, scuotono le sue paure, si ha improvvisamente di fronte un’anima ricca di fragilità e abbandono.
Questo film mi ha fatto ripensare molto al capolavoro “Mystic River”, le tematiche della colpa e del perdono, con le stesse sensazioni di rabbia e frustrazione. E’ l’ennesimo pugno allo stomaco, di quelli che solo un genio come Eastwood sa sfoderare, seguito da un’eco di sensazioni che si accollano senza dare tregua. Lento e all’occorrenza spietato, complesso ma nel contempo reale. Il personaggio di Walt Kowalski è un mosaico da comporre, nel quale ogni elemento è sospeso fra la vita e la morte e quest’ultima aleggia sospettosa in attesa di rubare spazio nel momento opportuno.
Clint non sbaglia mai. Nemmeno quando si tratta di fumarsi una sigaretta di fronte a uomini armati. Pollice ed indice a forma di pistola. E non chiamatelo Wally.
Trama
Lo scontroso Walt Kowalski (Clint Eastwood) è un reduce dalla guerra in Corea, pensionato dopo anni di lavoro alla Ford (di cui conserva un’autentica Ford Torino, un gioiello che custodisce gelosamente in garage) torna a casa dopo il funerale della moglie. Ad aspettarlo la sua cagnetta, l’amata birra, la solitudine e i poco graditi vicini di casa di cultura Hmong. Walt nutre infatti un puro odio verso i “diversi” che, piano piano, insediano il quartiere in cui abita da anni.
Dopo che il giovane Thao (Bee Vang) tenta di rubargli l’amata auto, fra i due nasce una sorta di complicità. Ed insieme affronteranno una delicata situazione che insegnerà loro ad amare la vita, il dolore e gli affetti.
Citazioni
- Walt Kowalski (Clint Eastwood) "Quanti topi di fogna possono starci in una stanza?"
- Walt "Avete mai fatto caso che ogni tanto si incontra qualcuno che non va fatto incazzare? [sputo]... Quello sono io"
- Walt "Qualsiasi cosa farò loro saranno spacciati"
- Walt "Quello che ossessiona di più un uomo è cio che non gli è stato ordinato di fare"
Carta d'identità
Titolo originale: Gran Torino
Titolo italiano: Gran Torino
Data di uscita (in Italia): 13 Marzo 2009
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 116'
Regia: Clint Eastwood
Cast: Clint Eastwood, Christopher Carley, Bee Vang, Ahney Her, Brian Haley, Geraldine Hughes, Dreama Walker, Brian Howe, John Carroll Lynch, William Hill, Scott Eastwood
Da vedere: Assolutamente. Poiché straordinario, intenso e toccante. Un quasi capolavoro e senza ombra di dubbio indimenticabile. Intenso ed unico.

domenica 15 marzo 2009

Tutto in una notte


Gabriele Salvatores e Niccolò Ammaniti, regista e romanziere, di nuovo uniti da un’opera straordinaria, come nel 2003 lo era stata “Io non ho paura”. Ammaniti è la mente, Salvatores gli occhi. L’uno fruga parole, l’altro concretizza le fantasie.
Come Dio comanda” mi ha riportato alla mente quanto “Io non ho paura” mi avesse impressionata. Sono passati sei anni e molte visioni. Quasi l’avevo dimenticato.
Il filone rimane quello della favola nera, dove un bambino ne è la vittima e la violenza il carnefice. Anche in questa occasione il fulcro della vicenda è un evento tragico, pochi secondi e la trama che pareva incentrata sul rapporto morboso fra Rino Zena (Filippo Timi è un padre rabbioso, incosciente e alcolizzato) e il figlio Cristiano (Alvaro Caleca) cambia rotta. Un bosco immerso nel buio, un temporale rumoroso e l’ultimo gesto di follia, restano l’emozione più forte.
I due tempi separano due sensazioni diverse. Il primo collima con l’illusione di avere di fronte una visione riflessiva, di un padre inaffidabile rimproverato dai servizi sociali ma lasciato solo dalla società, sfaccendato e dissidente. Di un adolescente timido e inquieto, schivato dai compagni con il solo affetto precario del padre a farlo sentire vivo. Spunta una terza figura, in un quadro già di per sé doloroso: quella di un impeccabile Elio Germano (Quattro Formaggi), nei panni di un’altra vittima orfana di giustizia che, dopo un grave incidente sul lavoro, vive in un mondo di Presepi, burattini parlanti e pornodive alla tv. A cavallo dei due tempi, il pubblico ammutolisce, divenendo spettatore di un fatto angoscioso. E in un istante la sedia scotta, la sala rimpicciolisce e l’inquietudine attanaglia la gola.
Si è improvvisamente consapevoli che, la pellicola, ruoterà tutt’intorno a questo epilogo drammatico e che gli spettatori altro non sono che i testimoni silenziosi di un incubo. Gabriele Salvatores gioca molto con le sensazioni, lavorando sui confini del thriller e insistendo molto sull’interazione fra adulto e bambino, dove molto spesso i due ruoli non hanno contorni ben definiti.
Osserviamo il mondo che circonda i tre protagonisti, deducendone il presente. Ne ricaviamo emarginazione, disperazione e collera che non possono essere messi a tacere. Immaginiamo dunque che, la pellicola, ci aiuti a conoscere quello che è stato. Invece, la sorpresa, consiste nel non raccontare nulla del passato.
In una notte eccessivamente carica di metafore, si andrà delineando un futuro. Forse ancora più incerto, del loro durante.
Trama
Rino Zena (Filippo Timi) è un padre disoccupato, con palesi problemi di alcol e di violenza repressa. Il figlio Cristiano (Alvaro Caleca) cresce in un clima crescente di instabilità, severità e ovvia solitudine. Quattro Formaggi (Elio Germano), gravemente offeso dopo un incidente sul lavoro, si aggrappa alla loro emarginazione per riuscire a vivere. “Come Dio comanda”, racconta la loro personale lotta contro l’abbandono improvvisamente spezzata da un incubo che cambierà per sempre il destino di tutti.
Citazioni
- Rino Zena (Filippo Timi) "Mannaggia la putt..., le cose che ci diciamo non le devi dire a nessuno"
- "La libertà è una parola che serve per fottere la gente"
Carta d'identità
Titolo originale: Come Dio comanda
Data di uscita (in Italia): 12 Dicembre 2008
Genere: Drammatico
Durata: 103'
Regia: Gabriele Salvatores
Cast: Elio Germano, Filippo Timi, Fabio De Luigi, Alessandro Bressanello, Angelica Leo, Vasco Mirandola, Vasco Mirandola, Alvaro Caleca, Carla Stella
Da vedere: per provare che, il cinema nostrano, ha talento. Dalla maestria nascono solo emozioni. Sussultante.

lunedì 9 marzo 2009

D.It’s Written


Fortuna, genio, imbroglio? Niente di tutto questo.
Nella vita combattuta di Jamal (Dev Patel), il destino gli ha riservato una possibilità. Che lui ha saputo riconoscere.

Danny Boyle, in collaborazione con la regista indiana Loveleen Tandan, ha trasformato in immagini il romanzo di Wikas Swarup, "Le dodici domande". Non avendolo letto, non posso servirmi di un confronto ma “The Millionaire” ha sicuramente avuto l’effetto desiderato. Ha suscitato molta curiosità, scalpore di rimbalzo (raccontare una drammatica realtà, per qualcuno risulta sempre scomodo) ed infine ha vissuto il meritato trionfo.
Perché, questo film, è un miracolo di cultura, colori e suoni. Alla base vi è una trama semplice, una storia che sfiora chi sogna il successo piovergli addosso con perfetta casualità. Potrebbe trattarsi del sogno di molti, fatta eccezione del protagonista stesso. Jamal non brama ricchezza con avidità, ma è il suo passato drammatico a meritare una rivincita.
La vicenda ha così inizio dalla fine. Siamo a conoscenza del suo improvviso successo senza sapere quanto questo influisca sulla sua vita. Ed è questa che è necessaria allo spettatore, affinché non sia soltanto una questione di coincidenze, ma venga anche riconosciuto lo spirito combattente del ragazzo.
Ci conquisteranno subito quei grandi occhi incerti, timidi e profondi, quell’atteggiamento dapprima discreto e poi in una crescente sicurezza atta a contrastare l’atteggiamento strafottente del conduttore (interpretato da Anil Kapoor). Ma la dote che diventa necessaria per continuare a stupire lo spettatore è l’esemplare abilità con cui Boyle incastra passato e presente, delineando un quadro a tratti drammatico, altre volte irriverente e altre ancora sorprendentemente divertente.
Un po’ forzata (ma necessaria ai fini della storia) la presenza dell’enfatizzata storia d’amore tra il protagonista e un’incontrastabile bellezza femminile (Freida Pinto, è Latika) e il rapporto tutt’altro che idilliaco con il fratello maggiore Salim (Madhur Mittal). Ogni flash-back è frammento utile a ricostruire il personaggio, a comprendere le sue paure e incertezze. Ciascuna rievocazione possiede un colore, un sapore e un’emozione. E mentre scrivo, la colonna sonora prodotta da A.R. Rahman scandisce il filo logico dei miei pensieri ricordandomi immagini eloquenti del film sottolineando con quanta precisione è stato composto questo puzzle di fotogrammi.
Quest’opera ricorda che il cuore vince sempre. O almeno al cinema.
Good Luck

Trama
Jamal Malik (Dev Patel) è un ragazzo povero di Bombay costretto, sin da giovanissimo, a scappare dalla realtà in cui vive. Con il fratello Salim (Madhur Mittal), si butterà nelle strade dell'India in cerca di fortuna senza sapere che questa lo attenderà su una sedia di fronte a milioni di spettatori. E mentre il fratello sceglie la strada della malavita, Jalim non dovrà far altro che aspettare.
Citazioni
- Jamal Malik is one question away from winning 20 million rupees. How did he do it?
A) He cheated, B) He's lucky, C) He's a genius, D) It's Written
- Jamal Malik (Dev Patel)"Vieni via con me!"- Latika (Freida Pinto) "Via? Con te? E di cosa vivremo?" - "Di amore"
- Latika "Pensavo che ti avrei rivisto solo nell'aldilà"
- Jamal "Non bisogna essere dei geni per conoscere le risposte"
Carta d'identità
Titolo originale: Slumdog Millionaire
Titolo italiano: The Millionaire
Data di uscita (in Italia): 05 Dicembre 2008
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 120'
Regia: Danny Boyle
Cast: Mia Drake, Imran Hasnee, Anil Kapoor, Irfan Khan, Madhur Mittal, Dev Patel, Freida Pinto, Shruti Seth
Da vedere: cito una frase, da un libro appena concluso, che questa pellicola mi ha rievocato: "Il pericolo peggiore, per sé e per gli altri, è quello di negare che il passato abbia qualcosa a che vedere col presente". Un film vivo.

lunedì 2 marzo 2009

La speranza ha il sorriso


Comincerei dalle emozioni dal fatto che pur non avendo più il tempo sufficiente per scrivere, come e quanto vorrei, sono qui a cercare di descriverle. Anzitutto un’immensa tenerezza scaturita dalle espressioni tristi piene di solitudine, dal tentativo di accompagnare un discorso disconnesso con gesti nervosi, dalla consapevolezza del loro essere “diversi” e dal vano sforzo di non esserlo.
Dopodiché nasce una sorta di timore misto alla curiosità. Un’insicurezza dettata dal senso del dovere di spettatrice, per quanto riguarda la rettitudine con cui intraprendere questa visione e l’interesse invece verso il lavoro tecnico in sé, come cioè Giulio Manfredonia ma soprattutto Claudio Bisio interagiscano con la delicata tematica dell’infermità mentale.
Il film è datato volutamente negli anni ottanta quando, i primi ospedali psichiatrici, venivano chiusi e la società si preoccupava di collocare i malati di mente senza fare troppo rumore. Per questo nascevano le cooperative, a cui è doveroso dedicare questo film.
Manfredonia realizza un piccolo lavoro, ma straordinario affrontando con adeguata deferenza un argomento tanto difficile, denunciando in punta di piedi una situazione troppo spesso taciuta (anche al cinema) ma evitando con eleganza enfasi e smisurata drammaticità. Tutt’altro. Nei cunicoli bui della sofferenza, trova spazio molta luce. Quel senso incombente di sofferenza sfiora appena lo spettatore che invece trova largo respiro e, in qualche frangente, si diverte.
L’interpretazione di Bisio è impeccabile (nei panni di Nello, il nuovo Direttore della Cooperativa) ma viene leggermente eclissata dalla bravura degli attori che personificano i veri protagonisti di questo film: la loro performance è così veritiera che non solo stupisce ma, addirittura, scuote.
E’ vero, a volte sfiora l’inverosimile ma sempre con il necessario rispetto. Un film di una sincerità che non si può tacere, di una naturale passione verso le emozioni semplici, le stesse che ho deciso di “fermare” io, nonostante il poco tempo a disposizione. Ma, per un’opera dolce, è concesso sovrastare la frenesia con un fragoroso plauso.
Trama
Nello (Claudio Bisio) viene allontanato dal sindacato, in quanto ritenuto un elemento “scomodo” per le sue idee d’avanguardia. Il ruolo assegnatogli successivamente è quello di Direttore della “Cooperativa 180” che si preoccupa di dare un’occupazione ai malati di mente impegnandoli in attività inutili ma illudendoli di condurre una vita normale. Inizialmente a disagio, Nello, decide di entrare in stretto contatto con ognuno di loro e, per sua sorpresa, troverà così tanta volontà da condurli a vivere, per davvero, una vita più decorosa e “umana”.
Citazioni
- Luca (Giovanni Calcagno) “Siamo matti, mica scemi”
- Nello (Claudio Bisio) “Che ruolo può avere all'interno di una società uno che non parla ed il cui curriculum é misero?" – Roby (Andrea Gattinoni) “Il Presidente" - Nello “Tu sarai il Presidente”
- Luca “Quando uno dorme, bisogna svegliarlo”
- Dottor Furlan (Giuseppe Battiston) “Il loro rifiuto alla proposta di Parigi è la tua vittoria più bella”
- Ossi (Franco Pistoni) consultando la guida stradale "Sei uscito da Tuttocittà, queste strade non esistono, devi rientrare nel Tuttocittà!"
- Ossi “Noi facciamo tutto con gli scarti, questa è una Cooperativa di scarti”
Carta d'identità
Titolo originale: Si può fare
Data di uscita (in Italia): Roma 2008 - 31 Ottobre 2008
Genere: Commedia
Durata: 111'
Regia: Giulio Manfredonia
Cast: Claudio Bisio, Anita Caprioli, Bebo Storti, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli, Carlo Giuseppe Gabardini, Pietro Ragusa, Maria Rosaria Russo
Da vedere: per poter sorridere ma allo stesso tempo riflettere con attenzione. E per avere conferma di quanto Claudio Bisio sia un artista perfettamente versatile. Un film onesto.

lunedì 23 febbraio 2009

The Winner Is... Sean Penn... Again... The Best

Senza parole...
Incredula...
E felice.

Le interpretazioni, i premi, gli occhi commossi e le parole quasi sussurrate.
E' lui il Dio del cinema.

martedì 17 febbraio 2009

Questo Piccolo Grande Amore


Questa visione mi esula da qualunque obbligo di spettatrice e critica in quanto una mia analisi, per quanto accurata possa risultare, non sarebbe mai obiettiva. Per questo, la riflessione che segue, non avrà le sembianze di un consueto giudizio ma piuttosto vuole assomigliare ad un’emozione che non avrà mai fine.
Esiste una sfera inviolabile che appartiene alla nostra intimità a tal punto da essere immune da qualunque attacco esterno, è quella dei ricordi: una finestra spalancata su un mondo di note, sapori e sensazioni.
Ero contraria alla visione di questa pellicola, era come ridipingere un mio quadro con colori altrui, danneggiando la sua sacralità e bellezza. “Questo Piccolo Grande Amore” ha visto la luce nel 1972, quando ancora non avevo messo piede su questo mondo. E’ stata però la fedele colonna sonora dei primi passi dell’amore dei miei genitori, e provo ad immaginare di milioni di altre storie d’amore. L’eco di quelle note così lontane nel tempo eppure così attuali per chi sa sognare, mi ha sospinta verso un oceano di spazi immensi: il ricordo delle Domeniche mattina quando papà ascoltava questo disco mentre i profumi del pranzo invadevano i corridoi di una casa che non ci appartiene più. Da quell’album è nato il mio personale avvicinamento alla musica di Claudio Baglioni. Una passione graduale che mi ha insegnato ad amare la musica con la giusta profondità. Una passione sfociata in qualcosa di unico ed inaspettato fatto di amicizie lontane, concerti in ogni angolo d’Italia, passando attraverso le notti insonni d’attesa. Memorie lontane che questo film con i suoi colori e la sua genuinità ha riportato a galla. Una pellicola giovane, che probabilmente avrei evitato con spavalda sicurezza, ed invece appartiene così completamente alla mia vita che non ho potuto farne a meno. Sono felice che questo album sia la cornice di un film pensato per i giovani spettatori, mi inorgoglisce che io l’abbia scoperto in così giovane età: è giusto che un’opera così bella e vera non conosca età, che arriva a riempire i cuori adolescenti con pochi principi e troppe pretese, a risuonare nelle sale restituendo speranza alle poche certezze.
Da tempo, nella mia stanza, le note del cantautore trovano meno spazio, i miei gusti musicali hanno subìto un leggera svolta ma l’emozione sulla pelle non mente: il primo amore non si scorda mai, nemmeno quando si tratta di musica. Attraverso le canzoni di Claudio Baglioni ho vissuto i primi amori, le prime difficoltà, le gioie. Ho conosciuto che le vere emozioni attraversano il tempo e rimangono indenni. E questo film, qualora ve ne fosse bisogno, ricorda a tutti quanto il cantautore romano abbia elargito alla musica, sensazioni personali a parte sono sicura che resta uno dei più importanti autori del nostro tempo.
Il film di Riccardo Donna ha secondo me un messaggio che non si può ignorare: quelle facce pulite non esistono più, è troppa la voglia di diventare grandi, certi valori profondi si sono persi con gli anni. Negli anni 70, la vita dei giovani aveva un colore diverso. Ed era quello dell’innocenza.

mercoledì 28 gennaio 2009

Lampi di Genio (capitolo 8)


Potrei dirmi in silenzio stampa sino all’arrivo di “Milk” nelle sale cinematografiche valtellinesi, ma in realtà è soltanto un comodo alibi. Portate pazienza. Nell’attesa che torni a me la cosiddetta “ispirazione”, vi lascio qualche orma di ironia. Parrò a Voi ripetitiva, ma lo trovo spassosissimo.

Puntata andata in onda il 18 Gennaio 2009
- House (Hugh Laurie)“Ci sono anche uscito, anzi direi che l’ho metaforicamente stuprata solo per il fatto di avere un pene… anche due"
- House “La mia paziente lotta in trincea nonostante la guerra femminista sia finita. Le puttane di una volta sono le donne di potere di oggi, quelle di oggi sono delle star. Se non è progresso questo”
- House “Ho da fare. In realtà, come vedi, non ho niente da fare, era un eufemismo per dirti “fuori dai piedi” ”
- House “Ti comporti da idiota! Così ti bruci la carriera e fra sei mesi, quando avrai superato Amber e sarai passato al giallo ocra, ti troverai a fare l’oncologo su un camper nel Wisconsin”
- Wilson (Robert Sean Leonard) “Ho bisogno di cambiare ambiente” – House “Compra delle piante”
- Un paziente (decisamente sovrappeso) osserva House e Cameron “Voi due siete stati insieme?” – House “Mi ha mollato quando ho perso l’ultimo mezzo quintale, ha detto che c’era meno di me da amare”
- House “Possiamo andarci a bere una birra, confesserà il fatto che Amber si trovi in una cassa di pino e che nell’universo regni la casualità e il caos”
- Cuddy (Lisa Edelstein) “Ti dispiace se entro?” – House “No affatto… ti dispiace se esco?”
- House “Hai qualche problema etico con quello che sto facendo da esprimere in modo singolare che possa farmi pensare che mi sbaglio anche se non lo ammetterò mai?”
- “Ma chi è?” – House “A quanto pare, un pessimo investigatore privato” – “E perché finge di aggiustare la macchina del caffè?” – House “Perché volevo scoprire quello che avete scoperto voi prima di scoprire quello che ha scoperto lui per poter scoprire se mi serve un investigatore”
- House “ “Metastasi” è solo una bella parola per dire “casini in giro” “
- House “Il fatto che non ha provato nulla, non ha provato nulla… ottima argomentazione”
- House “Non possiamo sapere quand’è “poco prima della morte” fino a “poco dopo la morte” “
- DRIIIN! House “Dov’è la cartella?” – infermiera “Ha suonato l’emergenza per avere la sua cartella?” – House “Sì, lo so… sono stato cattivo ma sono abbastanza sicuro che la cartella debba stare attaccata al letto, così i Dottori zoppi non devono cercarla mentre i pazienti muoiono”

Puntata andata in onda il 25 Gennaio 2009
- House “La gente non dovrebbe testare i farmaci perché è disperata, ma la gente non li testerebbe se non fosse disperata. Servono farmaci per salvare bambini ERGO serve gente disperata ERGO il benessere uccide i bambini malati”
- House “Le persone odiano le persone che hanno teorie sulle persone”
- House “Non voglio svignarmela per evitare una cosa che mi pesa, me la svigno per evitare una cosa inutile”
- Cuddy “Tua madre vuole che pronunci l’elogio funebre” – House “ “Elogio” dal greco “Parlare bene”. Se mi chiedesse di pronunciare un BASTARDOLOGIO ne sarei felice”

martedì 20 gennaio 2009

Lampi di Genio (capitolo 7)


Puntata andata in onda il 04 Gennaio 2009
- House (Hugh Laurie) “Mi cerca ovunque, tranne che nel posto dove vuole che io sia”
- House “Tre cavernicoli vedono uno sconosciuto correre verso di loro con una lancia, uno combatte, uno scappa, uno li invita a mangiare con lui la fonduta. L’ultimo non vive abbastanza per procreare”
- House “Vestita così sembri tanto una prostituta afghana. Senza offesa per le afghane”
- House “O sei perfetto, o sei malato e per esperienza malato è più normale”
- House “Se vuoi che la gente guidi con prudenza gli devi togliere gli airbag e puntargli un macete alla gola: nessuno andrà più di cento all’ora.

Puntata andata in onda l’11 Gennaio 2009
- House ad un ragazzo punk “Se non fossi serio, avrei il tuo look”
- “Da quando in qua prendi l’autobus?” – House “Di solito guidavo ubriaco sino a casa ma poi alcune madri si sono arrabbiate…”
- House è chiuso in bagno, fuori l’infermiera che si deve prendere cura di lui “Con chi sta parlando?” – House “Con il mio colon” – “Si è preso il mio cellulare?” – “Se l’è preso il mio colon, sto trattando per il rilascio”
- “Quante pillole hai preso?” – House “Adesso una… o devo contare anche quelle di prima?”
- “Può essere qualunque cosa” – House “Perfetto! Indaghiamo su questo, datele una panacea”
- House nei confronti di Taub “La prima volta che sei muta durante una discussione. Una bambola gonfiabile sarebbe più utile ed è la prima volta che dico qualcosa di negativo su una bambola gonfiabile"
- Amber (Anne Dudek) “Risorgo dai morti e la tua reazione è tutta qui?” – House “A saperlo avrei fondato una setta ebraica secessionista”
- Taub (Olivia Wilde) “Lei è un campione nel non affrontare i problemi” – House “Mio nipote mi ha regalato una tazza con questa scritta”

lunedì 12 gennaio 2009

Un cuore tutto italiano


“Questo è stato il primo personaggio della mia carriera che non sono riuscito ad amare. E' stato molto complicato calarmi nella mente oscura e depressa di un uomo come Ben […] Ho accettato di farlo solo perché volevo che attraverso il mio corpo arrivassero alla gente i tanti messaggi racchiusi in questo lancinante dramma psicologico. Resterà per me un'esperienza indimenticabile, la più toccante della mia carriera”

Non ho mai abbandonato l’attesa per il nuovo lavoro di Gabriele Muccino nonostante venisse di continuo tartassato dalla critica, a dispetto di chi con fare saccente lo etichettava come “eccessivamente mieloso" non ho mai smesso di credere in questo film.
Questa pellicola rappresenta un’eccezione, per la quale qualunque mio pensiero non risulterà mai adeguato: non possono esistere analisi tecniche, né sussistere giudizi oggettivi, si spalancano naturalmente anima e cuore. Che, per alcuni soggetti, è lo sforzo maggiore. Semplice aprire manuali, puntare indici (anulari e medi), facile denunciare l’ “inosservanza dei diritti umani e razionali” e parlare di “inneggio al suicidio”. Comodo restarsene in superficie, quando addentrarsi significa emozionarsi profondamente e provare dolore.
Questa pellicola non è per tutti. Non è per le masse. E’ per la parte più intima di noi stessi. Per chi si impegna ad amare, per chi ne è capace davvero. E’ dedicato a tutti coloro che non solo ammettono gli errori ma evitano di ripeterli. A chi di fronte ad un sorriso ne sappia cogliere il senso ma soprattutto davanti ad un pianto non se ne fa una ragione. E’ una pellicola coraggiosa poiché affronta un tema toccante, ma soprattutto perché annega nella sofferenza, nella disperazione, in una cornice fatta di drammi insaziabili. Pochi i sorrisi, moltissimi i primi piani di un Will Smith spento, malinconico e depresso. Ma sublime. Scrivo con rancore verso chi non ha saputo coglierne la straordinarietà fatta di scelte mature, interpretazioni tormentate e audaci penitenze.
A fine primo tempo ho raccontato alla mia vicina di poltrona qualunque presentimento mi sfiorasse la pelle. Ebbene, ciascuna ipotesi, si è effettivamente avverata. Ma prevedere non necessariamente equivale ad avere a che fare con qualcosa di scontato: dimostra invece interesse, curiosità e scrupolosa attenzione. Ciascuna sfumatura, anche la più impercettibile, diviene un frammento utile a delineare un quadro via via sempre più tragico e quando anche l’ultimo coccio viene riposto si ha la consapevolezza di avere davanti agli occhi una realtà insopportabile. Non siamo arrivati sin lì per chiudere gli occhi, ma per aprirli ad un pianto sincero, mentre si è crudelmente consapevoli che la sofferenza di cui ci facciamo carico lungo tutta la trama, altro non è che una preparazione a quell’apogeo del dolore. Siamo testimoni di una verità che si consuma in quel motel, in quello spazio così ristretto, in quell’urlo muto pieno di remoto dolore.
Senza filtri particolari il supplizio, dal corpo di Smith (perfetto comunicatore), passa attraverso il grandeschermo e raggiunge ciascun spettatore che, in maniera impulsiva, si abbandona a quel dolore dovuto e soltanto in quell’istante ci viene restituita la coscienza che, a nostra insaputa, era ostaggio della trama stessa.
Sette anime” è un film che svuota le coscienze, riempie di dolore ed infine fa sentire vivi. Non so cosa abbia provato chi lo ha biasimato senza pudore, ma a mio avviso trasmette quanto basta per portarlo nel cuore.
Trama
Ben Thomas (Will Smith), si porta appresso un segreto che il tempo ha reso insopportabile. Prendendo coscienza che la sua vita gli restituisce soltanto ricordi amari, decide che è venuto il momento di liberarsene. Per rendere possibile tutto questo dovrà scegliere sette persone che, attraverso il suo coraggio, cambieranno drasticamente la loro vita.
Citazioni
- Ben Thomas (Will Smith) “In sette giorni Dio ha creato il mondo, in sette secondi io ho distrutto il mio”
- Ben Thomas "Ci siamo..."
Carta d'identità
Titolo originale: Seven Pounds
Titolo italiano: Sette anime
Data di uscita (in Italia): 09 Gennaio 2009
Genere: Drammatico
Durata: 125'
Regia: Gabriele Muccino
Cast: Will Smith, Rosario Dawson, Woody Harrelson, Michael Ealy, Barry Pepper, Robinne Lee, Joe Nunez, Bill Smitrovich, Elpidia Carrillo, Tim Kelleher, Gina Hecht, Andy Milder
Da vedere: per definire in modo concreto la raggiunta maturità di Gabriele Muccino. E per sorprendersi di fronte alla recitazione di Will Smith che non si limita a dare vita al personaggio per mezzo di ritmi serrati di un copione, ma lo vive completamente: attraverso quelle rughe, quelle lacrime, quegli sguardi nel vuoto. Straordinari anche Rosario Dawson e Woody Harrelson. Emozionale.

venerdì 2 gennaio 2009

Nella trappola di un genio


Bryan Singer dà vita ad un lavoro straordinario: una trama volutamente lenta, caratterizzata da numerosi dialoghi e poca azione ma psicologicamente inarrestabile. Una pellicola di contrasti e paradossi, che stringe lo spettatore in una morsa metafisica alla quale non ci si può sottrarre e che negli ultimi venti minuti ridesta da un calcolato (e reversibile) semi torpore.
Paradosso determinato dalle scene di violenza che dovrebbero predominare e che invece risultano sapientemente sporadiche, soppiantate da taglienti dialoghi e continui flashback.
Il tutto incorniciato da una perfetta scelta di tempo (cronologia ed emozioni si incastrano in un mosaico senza sbavature) ma soprattutto dal reclutamento di un cast degno di una trama così sopraffina: un giovane ed irriconoscibile Benicio Del Toro (è il ricettatore Fenster) con il socio in affari McManus (interpretato da Stephen Baldwin), lo sfrontato Kevin Pollak (è lo scassinatore Todd Hockney) ed un bravissimo Gabriel Byrne (è l’ex poliziotto Dean Keaton), leader di questo insolito gruppo di malviventi. La voce fuoricampo è quella dell’unico superstite, il piccolo truffatore Roger "Verbal" Kint, magistralmente interpretato (scontato aggiungerlo) da Kevin Spacey (questa interpretazione gli valse l’Oscar come miglior attore non protagonista). Un (apparentemente) debole impostore, zoppo ed ingenuo, che viene messo alle strette dall'agente di polizia doganale David Kujan (Chazz Palminteri), per un ultimo (e si spera definitivo) interrogatorio. Dal suo resoconto, prendono vita i continui flashback e da questi si delinea lentamente l’accorto piano di un criminale non semplicemente geniale, ma anche spietato calcolatore.
Il mistero che si cela dietro al crudele personaggio di Keyser Soze (la mente del grande piano criminale) e l’incursione alla barca sono un vero e proprio assalto alle coronarie. Ma al disopra di tutto, l’atto finale (la sorpresa nel colpo di scena) vale tutto il film e milioni di altri.
Preferirei mantenere questo carattere ermetico per questo imperdibile cult che (in maniera ingiustificata) non avevo ancora assaporato cosicché quel gusto agrodolce che qualche parola in più potrebbe “sciupare”, rimanga nel tempo.
Il mio cuore di cinefila doveva arricchirsi di un personaggio come "Verbal" Kint. Da giovane faceva parte di un quartetto corale a Skokie nell’Illinois, non che la questione cambi qualcosa. O forse sì.
Trama
Si sa, quando la polizia non trova i veri artefici si avvale di quelli più probabili. Fenster, McManus, Hockney, Keaton e "Verbal" Kint non si conosco e non hanno mai lavorato insieme. Eppure vengono fermati per un confronto all’americana per sospetto furto di un camion di fucili.
I cinque malviventi (così diversi, ma in cerca degli stessi “affari”) si trovano a condividere la stessa cella e lo stesso “piano”. Dopo essere stati lasciati per insufficienza di prove e dopo aver compiuto qualche furtarello, vengono ingaggiati da un misterioso boss (Keyser Soze) il quale gli offre un colpo su commissione.
Una trama perfetta per un film piuttosto lento, ma con un finale che vale la pena di chiamare capolavoro.

Qualche curiosità, da conoscere assolutamente: - Il personaggio di Roger Kint, è stato ideato appositamente per Kevin Spacey;
- La pellicola è stata girata in modo tale che nessuno degli interpreti conoscesse la vera identità di Keyser Soze. Assolutamente geniale.
Citazioni
- Roger "Verbal" Kint (Kevin Spacey) "La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto, è stata convincere il mondo che lui non esiste"
- Roger "Verbal" Kint "Diventa un mito, una storia dell'orrore che i criminali raccontano ai propri figli, "Se non obbedisci a papà Keyser Soze ti porta via" ma nessuno ci crede veramente"
- Roger "Verbal" Kint "Keaton diceva sempre "Io non credo in Dio… Però ho paura di Lui". Bè io credo in Dio, e l'unica cosa di cui ho paura è Keyser Soze"
- Roger "Verbal" Kint "E come niente... FUA'... sparisce"
Carta d'identità
Titolo originale: The Usual Suspect
Titolo italiano: I soliti sospetti
Data di uscita (in Italia): 1995
Genere: Thriller
Durata: 106'
Regia: Bryan Singer
Cast: Kevin Spacey, Stephen Baldwin, Gabriel Byrne, Benicio Del Toro, Kevin Pollak, Chazz Palminteri.
Da vedere: imperdibile. Punto. L'interpretazione straordinaria di Kevin Spacey vale oro. Arricchitevi. Geniale.

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