martedì 30 dicembre 2008

Amori… e cani


Storie di “Amori e cani” (ma anche “Amori bastardi”). Tre frammenti di vita vissuta che fatalmente si uniranno andando a comporre un quadro aspro e drammatico attraverso il caratteristico filone narrativo a cui Iñárritu ci ha abituati. Tre storie singolarmente dolorose che sfociano in unico dramma, raccontate con una ritmicità incalzante e con il soffio della morte che aleggia incessantemente su ogni vita. Il film ha una durata di circa due ore e mezza ma non passa istante in cui risulti lento o ripetitivo, sin dalle prime battute l’adrenalina raggiunge livelli altissimi e veniamo divorati dalla curiosità che nasce dalle continue apparizioni di personaggi estranei ed enigmatici.
Il comune evento drammatico viene vissuto dalle tre angolazioni differenti, ma in modo lento, passando prima attraverso una rivisitazione dei personaggi coinvolti. Questa tecnica sopraffina (a mio avviso, utilizzata in modo impeccabile soltanto da questo giovane regista), una volta appreso il meccanismo, non diventa prevedibile a tal punto da inciampare nel banale e, nonostante sia ripetuta nei tre lavori del regista, ne diventa la chiave ma mai l’ossessione. E’ il risultato di un dosaggio perfetto di elementi importanti come l’imprevedibilità, la leggerezza e la tragicità.
Amores Perros” è il primo capitolo dei tre splendidi lavori del regista messicano (“21 Grammi” e “Babel” i successivi) eppure non si avverte nessuna inflessione acerba e non si respirano toni di superbia: la straordinarietà sta nel saper strutturare un’opera così complessa mantenendo un gusto genuino.
Questa pellicola nasce dall’idea di unire ed espandere tre degli undici cortometraggi (girati in collaborazione con Guillermo Arriaga) realizzati per denunciare le contraddizioni di Città del Messico. Correndo sul delicato filo che unisce la vita alla morte (tematica riproposta nelle opere successive), questa pellicola, si districa nelle diverse classi sociali incentrandosi sul delicato e profondo rapporto fra l’uomo e il proprio cane. Una decisione originale, ma per questo impeccabile e sarà proprio il continuo rapportarsi dell’uomo all’animale a dare alla storia un’impronta dolorosa: il cane come possibile fonte di guadagno, come unica sorgente di calore, come rimedio alla solitudine e agli errori del passato.
Il dissolversi di un sogno, la fine di un’effimera realtà e l’illusione di un’esistenza nuova. Tre vite così diverse, unite dal sentimento del dolore e da un unico, violentissimo, impatto. Il tempo scorre, scavando nelle anime di ogni protagonista e non lascia scampo. Non lascia, soprattutto, alcun appiglio su cui aggrappare speranze.
Ogni perdita è immutabile ed è l’unica certezza.
Trama
Octavio (Gael García Bernal) desidera scappare con la cognata Susana (Vanessa Bauche): vuole lasciare alle spalle un fratello violento e una vita troppo stretta. Il cane Cofi diviene un aiuto per guadagnare qualche spicciolo e realizzare quel progetto.
Daniel (Álvaro Guerrero) abbandona moglie e figli per trasferirsi nella nuova casa comprata per la nuova compagna (la fotomodella Valeria - Goya Toledo) ed il suo amato cane.
El Chivo (Emilio Echevarría), un ex guerrigliero comunista e attuale sicario, vive in una baracca insieme ai suoi cani. Dopo l’ennesimo “lavoretto”, prende in mano la sua vita e quello che vi trova è un’amara delusione.
Tre storie differenti che improvvisamente si trovano a condividere un ineluttabile destino.
Citazioni
- "Il mondo è fatto a scale. C'è chi scende e chi l a prende in c..."
- Susana (Vanessa Bauche) "Tu sei matto su tutte le ruote"
- "Se vuoi far ridere il buon Dio, raccontagli i tuoi progetti"
- El Chivo (Emilio Echevarría) "Non gridare, non costringermi a farti stare zitto per sempre"
- El Chivo "Sono un fantasma che si ostina a vivere"
- Questa dedica, appare prima dei titoli di coda e la trovo bellissima "A Luciano, perchè siamo anche ciò che abbiamo perso"
Carta d'identità
Titolo originale: Amores Perros
Titolo italiano: Amores Perros
Data di uscita (in Italia): 23 Febbraio 2001
Genere: Thriller, Drammatico
Durata: 147'
Regia: Alejandro González Iñárritu
Cast: Emilio Echevarría, Gaël García Bernal, Goya Toledo, Álvaro Guerrero, Adriana Barraza, Vanessa Bauche, Jorge Salinas.
Da vedere: per chi ama il regista è l’ennesima (e prima) prova della sua bravura. Per chi ancora non lo conosce, è venuto il momento delle presentazioni. Palpitante.

domenica 28 dicembre 2008

Pensiero di fine Anno...

Radio, tivù, riviste… siamo letteralmente bombardati da oroscopi e previsioni finanziarie, politiche e meteorologiche. E mentre “Studio Aperto” elegge il personaggio dell’anno (a colpi di violino strappalacrime e gloriose fanfare), Paolo Fox anticipa l’oroscopo segno per segno su Radio Deejey.
E mentre il Cancro si preoccupa di conservare la sensibilità e stabilire un legame col passato, Valentino Rossi ha la meglio su Barack Obama. E intanto che gli “ottimisti” prevedono una “crisi reale” caratterizzata da licenziamenti e minori introiti dovuti al calo di investimenti, “qualcuno” promette un taglio delle tasse ed una riforma giudiziaria (lo stesso che ha “miracolosamente” fatto sparire tonnellate di rifiuti... semplicemente dislocandole).
Riflettendo su questo cataclisma, ho pensato ad un “inventario cinematografico” che unisse tutte le emozioni vissute in questo anno “bislacco”. Perché sono quelle a rimanere sulla pelle, anno dopo anno.
“La vecchiaia è un posto dove vivi di ricordi belli. Per questo, quando sei giovane, vivi creandotene di belli”

ANNO 2008... The Winner Is… (non tutti i menzionati appartengono a questo anno, ma personalmente è come se lo fossero, avendoli scoperti tardi)

MIGLIOR FILM: “Non è un Paese per vecchi”

MIGLIOR ATTORE: Javier Bardem

MIGLIOR ATTRICE: Frances McDormand

MIGLIOR REGISTA: Sean Penn (un’incantevole sorpresa)

SCOPERTA: i fratelli Coen (di cui prima ne ignoravo la genialità)

MIGLIOR DVD: “Mare Dentro” (visto e rivisto e ancora rivedrò)

LA COLONNA SONORA DI CUI NON SO FARE A MENO: “Into The Wild” - Eddie Vedder

LA CANZONE: due a pari merito: “Harvest Moon” - Neil Young (in “Lontano da lei”)
“Ramshackle Day Parade” - Joe Strummer and The Mescaleros (in “Lo scafandro e la farfalla”)

Infine, la sorpresa più bella siete Voi, con quasi 1500 visite in tre mesi circa. Il contatore (inserito tardivamente per pigrizia ma, ad essere sincera, principalmente per timore) si è inaspettatamente rivelato un’arma a doppio taglio atta a sostenermi quotidianamente e seppur disponga di un conteggio approssimativo, mi ha permesso di avere un quadro generale sull’attenzione che ricevo. E ringrazio, come sempre, tutti Voi per la stima e la fedeltà dimostratemi.
Nella speranza che questo scambio non abbia mai fine e che io sia in grado di mantenere questa creatività, auguro a tutti Voi un buon inizio. Poiché della fine, sinceramente, non ce ne facciamo nulla. Il passo più importante è il primo.

giovedì 18 dicembre 2008

Lola corre da sola


Questa pellicola mi è stata suggerita da un amico. Provo gratitudine quando ricevo consigli, ancora di più quando questi si rivelano riusciti. Mi pare, dunque, doveroso ringraziarlo dell’intuizione, sollecitando Voi ad aprirmi gli occhi verso qualunque orizzonte cinematografico. Solo così, la passione diviene ricchezza.

Non finiremo mai di esplorare
e dopo tanto esplorare
saremo di nuovo al punto di partenza
e conosceremo finalmente il posto per la prima volta.
T. S. Eliot

L’originalità si fiuta immediatamente. Dopo l’aforisma sopracitato hanno inizio i titoli di testa, dove ogni interprete viene presentato per mezzo di foto segnaletiche, come se ognuno di loro avesse effettivamente qualcosa da espiare. E chissà che non sia proprio così.
Lola (Franka Potente) ha subìto il furto del motorino, per questo non ha potuto raggiungere Manni (Moritz Bleibtreu) il suo fidanzato che, nel frattempo, si è messo in guai seri. Ma se lei fosse arrivata in tempo? O, in alternativa, se lui non avesse preso la metropolitana?
Spesso, nel quotidiano, capita di guardarsi alle spalle come se servisse per scorgere l’altra strada che non abbiamo preferito. Come se avessimo scelta. Come se si potesse rivivere tutto daccapo.
Tom Tykwer lo rende possibile scegliendo una linea di fondo (Lola corre per le vie di Berlino, in cerca del padre e poi del fidanzato) ma, mantenendo le medesime linee guida (gli stessi passanti, l’uguale tempistica, l’identico percorso), modificandone gli effetti. Il film, dunque, ripercorre coraggiosamente tre volte la stessa scena, con altrettante conclusioni differenti. La destrezza sta nello spostare il fulcro della trama non solo verso i due protagonisti (come di consueto) ma ponendo l’attenzione anche in direzione i passanti sottolineando come, ogni scelta definitiva, possa divenire fatale persino per chi si sfiora appena. Una scelta ingegnosa quella del regista che, nonostante si arrischi quanto basta in una trama di per sé ripetitiva, non rinuncia alla creatività preferendo una tecnica di ripresa multipla e dinamica con l’accostamento continuo di generi: dal videoclip, al cartone animato. Un film giovane e adrenalinico, con una colonna sonora energica ed incalzante (quasi all’esasperazione) che si cuce perfettamente alla lotta contro il tempo a cui la protagonista va incontro.
Il triplice effetto sorpresa è assicurato, sommato a quello (già citato) per effetto dello stile narrativo. Un film audace, che si affaccia sul concetto sottile di casualità, dove ciascuna azione (apparentemente insignificante) avrà conseguenze devastanti e dove ogni estraneo, suo malgrado, sarà invece protagonista assoluto.
Una pellicola raccontata con timide incertezze ed un’indiscutibile abilità. Così veritiera da riuscire a farlo vivere quasi in prima persona. E non stupitevi se, al termine della visione, avrete un po’ di fiatone.
Trama
Lola (Franka Potente), ha un problema. E se non vi troverà soluzione il suo ragazzo (Manni - Moritz Bleibtreu) potrebbe venire ucciso. In venti minuti dovrà infatti recuperare centomila marchi. Inizia così una vera e propria corsa contro il tempo che verrà rivissuta attraverso finali differenti ma una sola certezza: continuare a correre.
Citazioni
- "Una risposta genera una nuova domanda e la risposta successiva genera di nuovo un'altra domanda e così via. Ma in fondo non è sempre la stessa domanda? E non è sempre la stessa risposta?"
- Padre di Lola (Herbert Knaup) "Ma che giornata è oggi?"
- Camionista che, di fronte all'attraversamento improvviso di Lola, frena bruscamente "Ehi, macchè ti sei stufata di vivere?"
Carta d'identità
Titolo originale: Lola rennt
Titolo italiano: Lola corre
Data di uscita (in Italia): 02 Ottobre 1998
Genere: Drammatico
Durata: 81'
Regia: Tom Tykwer
Cast: Franka Potente, Moritz Bleibtreu, Herbert Knaup, Armin Rohde, Joachim Król, Ludger Pistor
Da vedere: se avete da liberare un po’ di stress, funziona. Vivace. Vivacissimo.

domenica 14 dicembre 2008

Scorrerà sangue


Polvere, fatica e solitudine. La ricchezza nasce dai sacrifici, si guadagna con i propri mezzi e si conserva attraverso il potere conquistato. I primi (abbondanti) minuti sono interamente dedicati al lavoro duro e solitario di Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis), dapprima cercatore d’argento e divenuto poi il più famelico cercatore di petrolio della California. Gli unici suoni concessi allo spettatore in questo frangente, sono il contatto fra piccone e roccia, le sofferenze di fatica di Daniel sino ad arrivare alla scoperta di quel frammento di pietra che insieme significa prosperità e cambiamento. Dopo la morte di un operaio, Daniel (probabilmente addolorato dall’ultimo senso di colpa della sua vita) si vede costretto ad adottare il bambino orfano che si rivelerà utile per le sue conquiste terriere. Da questo istante ha inizio un’incessante scalata verso una meta senza più ritorno, nel quale lo stesso protagonista sarà inghiottito dal puro materialismo senza comprendere che quella smaniosa crudeltà divorerà la sua vita.
Il fascino di questa trama sta in realtà nelle pieghe che si vengono a creare. Il protagonista viene delineato non solo attraverso il suo percorso economico ma anche (e soprattutto) nei rapporti umani. Mentre la sua ricchezza si consolida, la fiducia verso gli altri si indebolisce sino a divenire collera e, infine, abbandono. In un raro momento di confidenza, Daniel racconta come la sua vita sia fatta di solitudine e scetticismo e come tanta agiatezza non serva a renderlo un uomo felice. Il rapporto ambiguo fra padre e “figlio” (H.W. - Dillon Freasier) vivacizza la storia e in un certo senso la umanizza. I loro distacchi e poi ritorni, orientano la vicenda verso un tono sentimentale di cui, sinceramente, se ne sente il bisogno.
Anche il popolo, in un primo momento sostenitore (illuso da speranza di ricchezza) e poi vittima (tradito da tanta avidità), diviene una voce incessante che non si può mettere a tacere: subentra così un personaggio originale ( pare appena uscito da una sceneggiatura dei fratelli Coen): è Eli (interpretato da Paul Dano) il predicatore della Chiesa comunale, un invasato propagatore destinato a mettersi nei guai, lo respiriamo nell’aria in ogni sua comparsa. La sua entrata in scena riscalda gli animi di tensione e provvede ad accelerare un ritmica fin lì piuttosto lenta.
La fotografia diretta da Robert Elswit (gli vale l’Oscar) è perfetta: ricrea un paesaggio brulicante di ricchezza eppure tanto arido, i colori riflettono gli stati d’animo e i contrasti sono utili a fortificare i sensi. Altra nota irrinunciabile è la colonna sonora composta da Jonny Greenwood: altro non è che la voce mancante, l’anello che sostiene il peso della ritmicità; lenta, soave ed infine incalzante.
Merita un’ovazione personale Daniel Day-Lewis il cui personaggio rispecchia la virilità e il fascino del film stesso, l’occhio di Paul Thomas Anderson non lo abbandona mai, al centro della scena ci sono i suoi lineamenti marcati, la sua espressività e un vigore indiscutibile che gli avvale l’Oscar come miglior attore protagonista.
Frangenti come il momento dell’esplosione (a proposito di stile: la tonalità accesa dell’incendio, in contrasto con il cielo all’imbrunire ed in primo piano l’ombra del protagonista è eccezionale) e il dialogo (l’ultimo) fra padre e "figlio" donano a questa pellicola un senso profondo che la lentezza del primo tempo non lasciava trapelare.
La stilistica narrativa (piove oro nero, non rane – “Magnolia”) è straordinaria, una cadenza inizialmente fiacca, esplode (verso metà del secondo tempo) e non lascia scampo. Un finale che potrebbe apparire eccessivo, conserva in realtà la bellezza della sorpresa. Una conclusione ambiziosa, proprio come questa pellicola.
Trama
Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis), è un cercatore d’oro. Durante una delle sue esplorazioni, trova un frammento di roccia il cui interno cela una ricchezza a lui dapprima sconosciuta. Da quest’istante, l’oro nero diverrà la sua ragione di vita. Insieme al figlio adottato H.W. (Dillon Freasier) parte per la conquista della California. Ma sarà una scalata al potere, tutt’altro che semplice. E conquistando la ricchezza perderà la sua parte umana.
Citazioni
- "Lei stia lì seduto e io la farò ricco"
- "E poi che ci faccio di me stesso"
Carta d'identità
Titolo originale: There will be blood
Titolo italiano: Il petroliere
Data di uscita (in Italia): 15 Febbraio 2008 - 2 Premi Oscar 2008 (su 8 nomination): miglior attore protagonista (Daniel Day-Lewis), miglior fotografia
Genere: Drammatico
Durata: 159'
Regia: Paul Thomas Anderson
Cast: Daniel Day-Lewis, Barry Del Sherman, Russell Harvard, Paul F. Tompkins, Kevin Breznahan, Jim Meskimen, Paul Dano, Kevin O'Connor, Ciarán Hinds, Dillon Freasier,
Da vedere: il regista ha una tecnica personale di raccontare il cinema. Una partenza lenta illude di una trama lineare, negli ultimi istanti quelle che parevano certezze crollano in un attimo. Scenografico.

mercoledì 10 dicembre 2008

Il coraggio di una madre


Solo al termine di “Million Dollar Baby” avevo respirato la stessa vaga atmosfera. Un silenzio inviolabile che fende l’aria e riempie la bocca di un gusto amaro; nessuno ha il coraggio di interrompere questa sacralità, con quella sensazione di angoscia ancora viva e che serra la gola. Rabbia, dolore e timida speranza. Quante emozioni in un fazzoletto di qualche ora.
La pellicola ha inizio con un colore incerto illudendoci di un opaco bianco e nero, ma quando il rosso acceso delle (splendide) labbra di Angelina Jolie irradia la scena (in perfetto contrasto con il viso pallido) comprendiamo che l’effetto è legato all’epoca a cui si riferisce la storia. All’America degli anni venti, quella spietata, moralista e fermamente corrotta. Nulla lasciato al caso, dunque, ma di questo non avevamo dubbi.
Le riprese ravvicinate (moltissimi primi piani) rafforzano l’empatia che si viene a creare come filo conduttore fra il pubblico e i personaggi e che si fortifica grazie alla bravura di un cast selezionato con minuziosità: una su tutti è proprio lei, Angelina Jolie che non solo diffonde bellezza e sensualità, ma anche (e soprattutto) quel senso materno (che colleghiamo, probabilmente, alla vita privata) insito in ogni donna, con un’ammaliante espressività che non le avevo mai riconosciuto. In alcune situazioni la scelta di un’attrice di questo calibro pare peccare di egocentrismo: la sua ammiccante femminilità, ornata dal trucco e dall’eleganza, non si armonizza con le mura fredde e invalicabili di un manicomio. Incongruenza immediatamente lasciata alle spalle, quando il suo grido disperato di madre tormentata dal dolore, chiede verità.
Clint Eastwood, è maestoso nel ricreare atmosfere di rara bellezza, pur toccando situazioni di crudele drammaticità. Stavolta, però, ho avuto l’impressione di venire inghiottita (così tanto, da non accorgermi della lungaggine alla quale andavo incontro) da un vortice di pathos senza freni. In sostanza, se nei lavori precedenti ci si sentiva schiacciati dall’evolversi dei fatti, in questa occasione l’impotenza è ancora più grande: il dramma coinvolge piccoli innocenti e viene raccontato senza particolari filtri.
La sensazione è quella di aver sfiorato un quasi capolavoro. Alla ricerca forse di un finale definitivo (e gradevole, dopo tanto dolore) che tarda ad arrivare e si spegne in una timida speranza ma che mantiene, comunque, l’identità di un film imperdibile.
Ricordate di portarvi appresso uno stomaco di ferro.
Trama
Los Angeles, 1928. Christine Collins (Angelina Jolie) è madre del piccolo Walter e lavora come responsabile in una società telefonica. In un giorno come tanti, al rientro dal lavoro trova la casa vuota e il piccolo misteriosamente scomparso. Dopo cinque mesi, la polizia le riconsegna un bambino che corrisponde alla descrizione del piccolo Walter. La madre è però convinta che non sia suo figlio e, con un coraggio invidiabile, lotta per scoprire la verità. Sostenuta dal Padre di una Chiesa presbiteriana (John Malkovich) e da un onesto poliziotto (Michael Kelly), Christine adempie al suo dovere di madre, a costo di mettere a repentaglio la sua stessa vita.
Citazioni
- "Non bisogna mai iniziare una battaglia. Ma se si comincia bisogna andare fino in fondo"
Carta d'identità
Titolo originale: Changeling
Titolo italiano: Changeling
Data di uscita (in Italia): Cannes 2008 - 14 Novembre 2008
Genere: Drammatico
Durata: 140'
Regia: Clint Eastwood
Cast: Angelina Jolie, John Malkovich, Riki Lindhome, Amy Ryan, Colm Feore, Devon Gearhart, Jeffrey Donovan, Kelly Lynn Warren, Devon Conti
Da vedere: perché non lascia scampo e resterà eterno. Un mezzo capolavoro. Commuovente.

lunedì 8 dicembre 2008

AsSENZA


Antepongo, per correttezza e precisione, questo editto che sarà utile a me stessa per affrontare questa analisi e a Voi per fare luce su questa realizzazione che non necessita di essere catalogata ma esige semplicemente la parte più umile di Voi stessi.
Anzitutto eviterò, per quanto possibile, di chiuderlo nella morsa di in genere. Ne verrebbe soffocato il senso. Da spettatrice fedele, quale mi sento di essere, prima di visionarlo ne sentivo l’urgenza. Ad opera conclusa, il bisogno era un altro.
In secondo luogo, cercherò con tutte le mie forze di filtrare il sentimento che mi lega a questo progetto, sviscerando ogni emozione escludendo la sfera affettiva.
Ricordo, tuttavia, che siamo fatti di sangue, cuore ed emozioni. E se il corpo mente, l’anima mai.

L’assenza è privazione di/da qualcosa. E’ silenzio, sofferenza e perdita. Inevitabilmente fa pensare ad un dolore incontrastabile. Pur riferendosi ad un concetto astratto, l’assenza è tangibile. Stravolge, disarma e rende umani.
Senza” è un viaggio di parole, in cui ciascun artista interpreta se stesso. Un’opera cinematografica di libertà assoluta, dove l’attore non indossa la fittizia maschera di un copione e lo spettatore annusa aria di sincerità; chi si trova davanti alla telecamera non prevede di inciampare nei fili invisibili di un burattinaio piuttosto in quelli delle proprie ombre.
Questo lavoro è privo di colori, ma carico di veridicità, paura e ricordo. E’ un cammino in salita, tutt’altro che semplice. Ma realizzato con umiltà, attraverso il potere incontrastabile del sentimento. Le sfumature di grigio, in tanto bianco e nero, ricordano che il dolore (come la vita) non va vissuto per mezzo di sentimenti nitidi alla ricerca di una solida certezza, ma attraverso gradazioni emotive profonde, un percorso intimo come personale risulterà questa visione.
Ogni spettatore verrà catturato da una sofferenza differente, frutto della propria esperienza e della sensibilità individuale. Ciascuno trasportato dall’impeto di pensieri e dolori, così intensamente da riuscire a portarsi appresso la fatica di una visione non facile.
Alla passione di Sabrina (Paravicini – molti la ricorderanno per Jessica, l’infermiera di “Un medico in famiglia”) si unisce la giovane energia di Matteo (il fratello della regista): nasce così “Senza”, una cronistoria sobria e spontanea interpretata da personaggi più o meno noti, che si mettono “a nudo” di fronte alla tematica della perdita. Dal punto di vista filosofico (incantatore Philippe Leroy), quello spirituale, geografico, sentimentale.
Gli attori vengono volutamente lasciati liberi di muoversi e di esprimersi e così ci accorgiamo come i gesti e le sensazioni si prendano per mano. E come i volti, per la maggior parte lasciati liberi dal trucco, diventino espressivi nell’immediato. E’ un gioco semplice, ma che generalmente nel mondo del cinema, viene a mancare.
Ogni uomo, nella vita, ha perso qualcosa o qualcuno. Per questo, la pellicola, raggiunge lo spettatore come un’emozione travolgente e vissuta. Nonostante non vi sia immediatezza e sebbene il concetto sia tutt’altro che digeribile.

“Assenza” è una parola il cui suono riempie la bocca, un urlo sordo che vorremmo far tacere. Questo lavoro ha avuto il coraggio di dar voce a questo “vuoto” e se tanto è difficile affrontarlo, a realtà ritrovata e sipario calato, sarà più semplice sentirsi vicini agli altri.

Carta d'identità
Lungometraggio sull'uomo e sul sentimento della perdita
Regia: Sabrina Paravicini
Soggetto: Sabrina Paravicini
Riprese e fotografia: Sabrina Paravicini
Montaggio: Sabrina Paravicini - Matteo Paravicini
Musiche: Jonis Bascir
Durata: 84'

lunedì 1 dicembre 2008

Abbiamo bisogno di verità


E diciamocela tutta: questa denuncia al terrorismo e alle guerre in medio oriente ci ha obiettivamente stancati. La rabbia per una guerra inutile (ed evitabile) e la paura che ha invaso con tanta facilità gli aeroporti, le strade delle grandi città e gli ambienti affollati non danno tregua. Nemmeno al cinema.
Fatta questa premessa, quando dietro alla macchina da presa c’è un “certo” Ridley Scott il contesto può anche risultare ripetitivo, ma inevitabilmente coinvolgente a tutti gli effetti.
E ancora, quando davanti alla cinepresa si hanno la disinvoltura di Russell Crowe e l’incredibile talento di Leonardo Di Caprio, la prefazione può andare a farsi friggere altrove.
La pellicola acquista un ritmo frenetico fin dai primi minuti e, nonostante si dilunghi eccessivamente in alcuni frangenti, mantiene questa cadenzata sino alla fine. Si sta sulla poltrona come fossimo dal dentista e d’improvviso si facesse rovente.
Di Caprio (che ancora non mi fa palpitare il cuore ma che davvero ha la capacità di comunicare ogni tipo di sensazione) non sbaglia un’espressione, una movenza: ha dapprima un atteggiamento strafottente di chi è arrivato per cambiare il mondo, successivamente ha il corpo (e non solo dal punto di vista fisico) martoriato dalla drammaticità dei fatti. Sembra rendersi conto dell’effettivo pericolo soltanto quando la morte bussa alla sua porta.
Crowe la sfrontatezza non la perde mai, nemmeno quando il suo uomo migliore rischia la vita. Atteggiamento di chi sta seduto a dirigere un’operazione senza viverla per davvero. Di chi ha in mano le vite altrui senza mettere a repentaglio la propria. Di chi ha il culo su una comoda poltrona e la coscienza l’ha dimenticata da un pezzo.
Due personalità la cui differenza viene intelligentemente rimarcata anche dall’aspetto fisico: Roger Ferris (Di Caprio) è trasandato, elegante solo quando incontra uomini potenti e soprattutto segnato da ferite la cui guarigione si affida al tempo. Ed Hoffman (Crowe) è sempre ornato di abiti costosi, da chili e chili di grasso e di bella vita (non cammina, rotola) e mentre si illude di salvare il mondo, porta a scuola i suoi bambini.
Spunta una terza figura, che vive comunque nello sfarzo ma si impegna a portare a termine il suo compito senza fare troppo rumore: è Hani (Mark Strong) capo dei servizi segreti giordani. Una figura che, progressivamente, catturerà l’attenzione del pubblico.
La scena in cui Ferris viene catturato e portato nella cava segreta di Al-Saleem, accelera il battito cardiaco e mette a dura prova il sangue freddo dello spettatore. Ne vale tutto il film. Un dolore psicologico che si unisce alla collera per quanto di iniquo c’è in tutta questa insulsa guerra. Che semina morti, spegne speranze e finanzia i (già ricchi) (pre)potenti.
Un film di verità, che pecca a volte di ingordigia ed ingenuità, ma che ha anche molto da raccontare. A voi, gli occhi.
Trama
Le capitali europee, nel fazzoletto di pochi giorni, subiscono gravi attentati. Carnefice di queste stragi di innocenti è Al-Saleem, un ricercato membro di Al Qaeda. A dargli la caccia la Cia il cui supervisore, Ed Hoffman (Russell Crowe), recluta uno dei suoi migliori agenti, Roger Farris (Leonardo Di Caprio) e lo spedisce ad Amman (Giordania). All’operazione si unisce l’Intelligence locale diretta dal severo Hani (Mark Strong). Uno spiegamento di forze per una caccia tutt’altro che semplice.
Citazioni
- “Voi americani non siete capaci di mantenere i segreti: siete una democrazia"
- Ed Hoffman (Russell Crowe) “Se non stai pensando alla fica significa che non sei concentrato”
Carta d'identità
Titolo originale: Body of Lies
Titolo italiano: Nessuna verità
Data di uscita (in Italia): 21 Novembre 2008
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 128'
Regia: Ridley Scott
Cast: Leonardo DiCaprio, Russell Crowe, Mark Strong, Golshifteh Farahani, Simon McBurney, Michael Gaston
Da vedere: sicuramente per passare due ore adrenaliniche. Per chi apre gli occhi, anche per ricordarsi la dura realtà. Nudo e crudo.

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