venerdì 8 maggio 2009

I "Noi" là fuori


"Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese.Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese"


"40 anni e non ho fatto nulla di cui essere orgoglioso"


Harvey Milk è l’ennesima consacrazione di un Artista senza imperfezioni. Non chiedetemi di rimanere imparziale di fronte a Sean Penn. E’ come chiedere ad un aquilone di non seguire il vento. E’ come guardare un’alba senza rimanerne stupiti. Se la bellezza davvero esiste, prende forma nella bravura di Sean Penn.
Non posso recensire la perfezione, ogni pensiero la renderebbe banale. Non chiedetemi di ingabbiare la bellezza in parole semplici. Ciascuna lettera, ogni parola e ancora frase ne ridurrebbe il senso profondo. Come si può descrivere il suo gesticolare, un’espressione del viso che rispecchia esattamente lo stato d’animo in cui dovrebbe trovarsi o le sue metamorfosi? Tutti tasselli straordinariamente allineati a modellare una bravura inarrivabile. Questo post non sarà un’usuale recensione, dunque. Oltre al (doveroso) tributo all’attore che mi ha avvicinata alla settima Arte in un modo così intimo ed inalienabile, vi è una comunicazione ufficiosa. Una presa di coscienza, forse revocabile ma comunque necessaria. Voglio essere sincera con Voi, sempre.
Questo post è dedicato a coloro che, nella frenesia quotidiana, hanno ancora la forza di sostenere un sogno. Di dar voce ai desideri e di cercarne di nuovi ad ogni risveglio. Proprio come Milk, il primo consigliere comunale dichiaratamente gay che ha lottato con speranza ed abnegazione per i diritti degli omosessuali. Ad ogni desiderio realizzato, ve n’è uno successivo che lo sostituisce. La sete di ambizione permette all’uomo di vivere con virtù.
Se i sogni restano tali, allora non sono sogni. Il mio era quello di arrivare a Voi attraverso la mia emozione. Mediante la mia umile vena artistica, volevo raggiungerVi sentendomi un poco speciale. E così è accaduto. Le vostre E-Mail, i commenti pubblici e no sono e saranno un continuo sostegno per un sogno che ha appena preso il volo ma che, per un sentimento personale, ha bisogno di fermarsi. Ogni viaggio ha le sue incertezze. Ogni ingordigia ha la sua sazietà.
Sono di fronte ad una scelta difficile e necessito di nuovo della Vostra collaborazione. Accogliete queste mie parole con la medesima autenticità con cui sempre ci siamo “incontrati”. Sean Penn, stasera, mi ha fatto riflettere sul bisogno che ho di emozionarmi. Ma con l’integrità di me stessa, senza avvertire il vincolo di stringere in una morsa fatta di parole le mie sensazioni.
Ho bisogno di noleggiare una pellicola ogni notte, senza quella stretta alla gola che è la responsabilità di questo meraviglioso Mondo parallelo che si è venuto a creare fra Noi. Questa “Finestra” mi ha spalancato verso una dimensione che mi intimoriva. L’ignoto ed il remoto mi scuotevano, ora fanno parte di me. Attraverso questo Blog ho “sfiorato” visi di cui non conosco identità, ho ricevuto consensi e gratitudine da chissà quale altra fetta di quotidiano. E’ uno “scambio” di cui non farei a meno mai, mi appartiene e lo custodisco gelosamente.
Questo post è dedicato a quei “Noi” che con coscienza e irrazionalità amiamo i cinque sensi. Che riconosciamo le sensazioni e non le minimizziamo per paura di indebolirci. Ai fragili che sono fieri di questa debolezza. Agli artisti, piccoli e grandi, che prima di tutto scelgono di interpretare loro stessi. A chi come me, si è fermato a riflettere troppe volte. A chi ha il coraggio ogni giorno di riaccendere la speranza. A chi, a piccoli passi, ha fatto grande il mondo. Questo post è dedicato all’Amore grande che ho provato e che non proverò mai più. Al dolore di averlo perduto e all’orgoglio con cui lo porto dentro. Quando una persona ti si conficca nel cuore se la lasci andare si porterà via un pezzo di te. Agli Amici che sono accanto a me, ogni giorno. A quelli che non lo sono, ma il semplice pensiero ci unisce. A chi, nell’ombra, mi legge e non lo ha mai detto. A chi timidamente mi sostiene. A chi a gran voce mi sorregge. Alla mia famiglia perché sono coloro che amo più di tutto. Agli sconosciuti a cui non ho dato la giusta importanza. A chi mi emoziona. A Sean Penn perché è il mio mito.
Questo Post è dedicato ai Vostri occhi e al Vostro cuore che, nella semplicità, mantengono in vita la mia “Arte”. Mi prendo una pausa per riflettere, per il bene dei miei occhi stanchi. Per ora è giusto così.
{a meno che, Sean Penn, non venga sotto la mia finestra con megafono e corteo a chiedermi di continuare a scrivere}


Con autentico Affetto.
Chiara


“Sappiamo bene che non si può vivere di sola speranza, ma senza la speranza la vita non vale la pena di essere vissuta”

mercoledì 6 maggio 2009

Lampi di genio (capitolo 9)


Puntata andata in onda il 01 Febbraio 2009

- House (Hugh Laurie) “Tredici infila un ago nella zona pelvica della tua amichetta… no, guarda che non è una metafora… succhiale un po’ di midollo osseo… questa invece lo era”
- House, si accomoda sul divano di Wilson “Non mi sedevo qui da almeno quattro mesi… c’è ancora la forma delle mie chiappe”
- La paziente ha evidenti impedimenti alla lacrimazione “Le servirebbe una storia strappalacrime, mi spiace non ho avuto tempo di passare da Wilson”
- Paziente “Allora io guarirò” – House “Metilpredinsolone per tenere sotto controllo la Sjögren e lacrime artificiali per vivere questo momento con il massimo del pathos”
- Kutner (Kal Penn) “Un fattore genetico” – House “O?” – “Tredici” (Olivia Wilde) “Se conosce già la risposta ci può dire qual è?” – House ”Non conosco la risposta il che ci riporta a “O?” “
- House volontariamente versa qualcosa sulla spalla della Cuddy (Lisa Edelstein) “Ehi, ma cosa fai?” – House “Vomito di neonato, in maternità distribuivano campioni gratuiti”
- House “Vorrei il tuo consiglio” nel dire questo getta la cartella clinica sulla scrivania, Wilson (Robert Sean Leonard) senza nemmeno aprirla “Non è cancro” – “WOW! Sai anche rimuovere le milze con il pensiero?”
- Wilson in una metafora “Tu ti senti minacciato perché lei va alle superiori e ti lascia indietro a ripetere la III media” – House “Va a letto con l’insegnante di scienze per avere il diploma”
- House “Il paziente perde sangue da ogni orifizio, potrebbe essere un problema vascolare”- Kutner “Vasculite” – “Se avessi detto infiammazione alla prostata tu avresti detto PROSTATITE?”
- Taub (Peter Jacobson) “Anche se fosse così ha bisogno di un trapianto di rene” – House “Fate i test alla figlia” – “Ha 12 anni” – “Con un rene piccolo non farà molta pipì… perfetto per i viaggi in macchina”
- Cuddy “House ti ha spiegato che in tutti gli interventi ci sono dei rischi? Potresti morire…” – House “E se non lo fai, morirà tuo padre” – “Smetti di farle pressione” – “Scusa. Papà scoppia di salute ma voglio che tu gli regali un rene perché è fico che ne abbia tre”

Poi ho perso il conto delle puntate ultime
- House "Chiunque odierebbe l'umanità dopo che gli hanno sparato. Solo un grand'uomo la odierebbe a prescindere"
- House "E' stato solo un bacio" - Cuddy "C'è una spiegazione" - "Sì, quelle due cose nel reggiseno... immense"
- House "Scusa, c'è più campo se te ne vai"
- Cuddy "Stai bene?" - House "Sì, non serve parlare" - "Alla mano" - "Curioso, di solito non mi vengono mai le estigmate prima di Pasqua"
- House "Perchè non vai in un videonoleggio e dici a tutti che Kevin Spacey è Keyser Soze? Fra parentesi, il finale non ha senso"

martedì 28 aprile 2009

Un’amicizia… di cuore


Partirei dal ricordo di una chiacchierata semplice. Il frutto di una casualità, come del resto lo è anche il punto di partenza: imprevedibile, come un raggio di sole fra le nuvole grigie. Così definirei questa profonda amicizia raccontata dall’occhio vigile e sensibile di Francesca Archibugi: il calore di un’inaspettata occhiata di sole, in un pomeriggio cupo.
Il fotogramma più bello, dunque, è quello di Angelo (Kim Rossi Stuart), pallido e smagrito, accanto all’amico Alberto, supini su un letto matrimoniale che dovranno condividere in un contesto casuale quanto sincero: le risate si ascoltano volentieri, si respira così tanta sofferenza che il suono arriva suadente e soprattutto vero. Pare che l’allegria del momento sia spontanea, voluta e senza traccia di un copione. E, sinceramente, voglio continuare ad immaginare che sia così.
La naturalezza di cui si fa carico questa pellicola, non è altro che il risultato di una scelta appropriata: Antonio Albanese vive un ruolo del tutto nuovo ed in questa trasformazione si apprezza maggiormente la sua intensa capacità di comunicare. Un uomo colto, intelligente e solo prigioniero di paure e della sua stessa creatività. Kim Rossi Stuart, invece, acquista una luce nuova mentre il suo personaggio scompare, divorato dalla malattia. I primi piani accentuano la sua ineccepibile bellezza, racchiusa in quelle mani da lavoratore instancabile, in quel viso scavato di chi non mangia da giorni e in quegli occhi che non riposano felici da tempo.
Il tutto incorniciato da un intreccio di realtà differenti, separate dai pregiudizi ma accomunate da uno stesso dolore. Un’amicizia che, nel cammino, diviene dapprima sincera ed infine irrinunciabile. La condivisione di una sofferenza si trasforma in una delicata intrusione nella vita dell’altro, sino a conoscerne le debolezze, le sfumature, le ragioni: la vita dell’uno colma i vuoti dell’altro, e viceversa. Un film che porta a riflettere sui paradossi dell’amicizia, sull’autenticità e sulla necessità di questo sentimento.
Una trama che calibra accuratamente commedia (la partecipazione di Verdone nel ruolo ipocondriaco di se stesso, ne è un esempio) e drammaticità, dando a qualunque interprete la possibilità di sentirsi svincolato da un imperativo copione.
Il cinema trasmette sensazioni, il dovere dello spettatore è quello di viverle e mantenerle nel tempo. Questo film non è un capolavoro ma, nella sua piccola storia, racchiude tante emozioni.
Trama
Angelo (Kim Rossi Stuart) è un giovane carrozziere con una bella famiglia, un lavoro redditizio ed uno spirito instancabile. Alberto vive una vita rumorosa, come il suo carattere, ama le donne, la bella vita e il disequilibrio. Nella stessa notte, i due, vengono ricoverati nello medesimo ospedale: i loro cuori si ingrippano nello stesso istante. Sin da subito si percepisce quanto la forza dell’uno compensi la debolezza dell’altro e, da quella notte, due quotidianità così differenti diverranno una sola vita.
Citazioni
- Angelo (Kim Rossi Stuart) "... e perché “er caffè” deve essere “ar vetro”?!? Cosa cambia"
Carta d'identità
Titolo italiano: Questione di cuore
Data di uscita (in Italia): 17 Aprile 2009
Genere: Drammatico
Durata: 102'
Regia: Francesca Archibugi
Cast: Kim Rossi Stuart, Antonio Albanese, Micaela Ramazzotti, Paolo Villaggio, Francesca Inaudi, Francesca Antonelli, Chiara Noschese, Nelsi Xhemalaj, Carlo Verdone
Da vedere: il cinema italiano merita occhi attenti. Antonio Albanese è assolutamente impeccabile. Kim Rossi Stuart lo asseconda con intelligenza. Un film che non si vergogna dei sentimenti. Non li elude, piuttosto li intensifica. Dolce e malinconico.

sabato 11 aprile 2009

Il bambino che sapeva volare


L’agrodolce favola del piccolo Bruno (Asa Butterfield) riempie il cuore di sofferenze taciute e gli occhi di lacrime tormentate. L’urlo di una madre che ha la consapevolezza di aver perso tutto e il silenzio di un padre rigido che, con il potere, ha scavato la propria rovina. Gli ultimi istanti sono un tumulto di sensazioni, si viene inghiottiti da una catastrofe che inarrestabile si delinea davanti agli occhi: inaccettabile, intensa, ineluttabile.
E pensare che, sino a quel momento, gli occhi di Bruno erano divenuti i nostri, la sua ingenuità la nostra speranza, le sue corse nel bosco prendevano fiato nelle nostre attese. “Il bambino con il pigiama a righe”, tratto dall’omonimo romanzo di John Boyne, è una favola che si compie a piccoli passi, nel quale Mark Herman prende per mano lo spettatore in modo delicato, rispettoso e con il dovuto riserbo come farebbe un bambino di fronte ad un adulto sconosciuto.
La bellezza di questo film è nascosta nella sua adattabilità ovvero pur facendo prevalere l’innocenza e la spensieratezza di un bambino non dimentica l’arroganza e l’ipocrisia dell’adulto. Di fronte alla tragedia si ha un prisma di punti di vista che offrono al film sfaccettature differenti a seconda dell’età dello spettatore. Questa realtà si compensa con le incertezze degli interpreti, i cui ruoli molto spesso perdono la consistenza e si sfiorano sino a fondersi: una sorella che scava nel mondo degli adulti sino a sentirsi parte di esso, una madre che ignora la realtà dei fatti anche quando questi si presentano come ovvi.
Il piccolo Bruno resta l’eroe su cui far fede: i suoi grandi occhi azzurri cercano avventure, la sua sincera curiosità viaggia insieme alla fantasia e quando anche le sue gambe inseguono la sua immaginazione si ha la sensazione di aver valicato la barriera della certezza, tutto quel che si vivrà al di là di quel bosco ha il respiro del dolore.
Subentra così il piccolo Shmuel (Jack Scanlon) e con il suo personaggio pare prendano vita barriere dapprima invisibili; la prima è chiaramente quella tangibile rete metallica che separa le due realtà, ma non il desiderio di restare bambini nonostante tutto. Bruno, abbigliato in modo impeccabile, sempre carico di doni per il suo nuovo amico, comprende quotidianamente realtà nuove. Shmuel, dal canto suo, indossa il solito “pigiama”, ha il viso sporco e i denti da troppo tempo trascurati, da quest’incontro ne ricava cibo e parole, allontanando una solitudine che a quell’età non dovrebbe esistere. Ma le barriere esistono anche nei rapporti umani, di adulti che non accettano le realtà dell’altro, di crudeltà ingiustificate, di sguardi che non hanno il coraggio di sconfinare nei sogni.
A conclusione di questa favola amara il dolore, determinato dal senso di perdita, sarà così grande quasi da cancellare la scena a mio avviso più intensa del film, che trasmette quella commozione inaspettata che serra la gola: il dialogo fra Bruno e Pavel (David Hayman), il prigioniero ebreo che lavora in casa. In quel viso scavato e pallido, in quella voce flebile e negli occhi arrossati di chi merita un futuro adeguato, leggiamo una storia di crudeltà umana che non possiamo dimenticare.
Ed il silenzio prolungato prima di quel “Grazie” insperato sussurrato dalla signora Elsa (Vera Farmiga) al medico Pavel (perché è quella la professione di cui è degno), lo ritroviamo verso la fine della vicenda, quando in un trambusto di suoni ed immagini la porta del forno si chiude lasciandosi alle spalle migliaia di vittime innocenti. Solo un silenzio meditativo può accompagnare con dignità l’intensità di questi fotogrammi.
L’agonia che silenziosamente si farà largo in sala, non risanerà mai il debito di crudeltà umana che abbiamo con la storia.
I bambini passano notti insonni quando li attende un grande giorno. Aprono le braccia e fingono di saper volare. E, al di là dei sogni, vi sono ancora sogni. Ma questa è realtà.
Trama
Berlino, anni Quaranta. Quando l’ufficiale Ralf (David Thewlis) viene promosso ad alti incarichi, la sua famiglia viene costretta a trasferirsi in campagna. Il piccolo Bruno (Asa Butterfield) è infelice nella nuova dimora, si annoia quotidianamente e si sente molto solo. Questa condizione cambia in modo repentino quando, al di là del bosco, scorge una strana “fattoria” nel quale i “contadini” indossano un insolito pigiama e dalle ciminiere si alza un olezzo insopportabile. La curiosità e l’ingenuità guideranno Bruno verso una realtà a lui sconosciuta nel quale il piccolo Shmuel è costretto a vivere: fra i due nascerà una solida amicizia, dove ai due verrà restituita quella felicità che gli adulti abbandonano nel tempo.
Citazioni
- - Bruno (Asa Butterfield) "Te lo avevo detto che sono strani" - Elsa (Vera Farmiga) "Chi?" - "I contadini no, vanno in giro in pigiama"
- "L'amicizia può unire quello che le barriere dividono"
- Shmuel (Jack Scanlon) "Noi non doremo essere amici , dovremo essere nemici"
- Bruno "Ma non è un nome Shmuel, nessuno si chiama così"
- Bruno "Mio padre è un soldato, ma non di quelli che rubano i vestiti alle persone"
- Il nonno (Richard Johnson) "Il lavoro che tuo padre fa qui rimarrà nella storia"
- Bruno "Potresti venire in vacanza da me a Berlino quando tutti andranno di nuovo d 'accordo"
- Bruno "Non ti preoccupare,ci faranno aspettare quì fino a quando non smette di piovere"
Carta d'identità
Titolo originale: The Boy in the Striped Pyjamas
Titolo italiano: Il bambino con il pigiama a righe
Data di uscita (in Italia): 19 Dicembre 2008
Genere: Drammatico
Durata: 100'
Regia: Mark Herman
Cast: David Thewlis, Vera Farmiga, Rupert Friend, Iván Verebély, Richard Johnson, Sheila Hancock, Jim Norton, David Heyman, Asa Butterfield
Da vedere: Per piangere quelle lacrime taciute e reali. Di una crudeltà tangibile, che provoca dolore, che lo si porta appresso come un debito mai saldato. Toccante.

domenica 5 aprile 2009

Emozioni a sei corde


C’è e si percepisce una perfetta mescolanza di passione, intelligenza e raffinatezza. Debutto con “Arrowhead” del maestoso Michael Hedges, tanto per ricordare che qualunque arte individuale prende vita dalle grandi emozioni, seguita da un tributo legittimo ad “Anima Meccanica” album d’esordio in uscita a Maggio.
Giovanni Baglioni ha 26 anni ma ha già l’abilità dell’artista consapevole, capace di intrattenere un pubblico eterogeneo, a tratti ammaliare anche orecchie inesperte e altresì mantenere l’umiltà di esordiente.
Giovanni ha la saggezza di introdurre ogni suo brano con una breve cronistoria legata all’origine di ciascuno, preparando lo spettatore ad una particolare sensazione. Come se, le parole, fossero utili a disegnare un contorno, ma solo le note fossero in grado di riempirlo di colori e sfumature donandogli il confacente significato. Primo su tutti è, senza dubbio, “Anima Meccanica”, un brano suggestivo, scandito da ritmicità differenti consone alla “vita” quotidiana di un grande orologio. Come l’evocativo “Rubik”, un mosaico di tasselli musicali tanto differenti quanto curiosamente complementari.
Il sentore di un’atmosfera seducente sulle note di “Sirena” e profondamente intima in “Dalla Cenere”, catturano, incantano e trascinano. L’abilità di Giovanni sta in questo ricreare atmosfere differenti, ricche di significato, entrando in perfetta armonia con la sua chitarra: gli occhi spesso chiusi sono sinonimo di concentrazione ed intensità, come le sue movenze indicano un coinvolgimento universale capace di prendere vita dalle corde sino a raggiungere l’intimità dello spettatore.
Il racconto a cui sono particolarmente legata è quello di presentazione per “Quando Cade Una Stella”, uno dei pezzi che mi somiglia di più; malinconico e riflessivo, racconta il ricordo di un Amore importante e finito, ma così intenso da vincere il tempo.
Accade di sconfinare anche verso sonorità vagamente funky con uno dei miei due brani preferiti, “Bloody Finger” senza il timore di eccedere a cadenze ritmate e dinamiche come quelle di “Get Up!”. Osare è anche pensare, comporre e arrangiare un brano (“Pino”) per omaggiare il proprio Maestro, in questo caso Pino Forastiere. Un brano complesso e nel contempo intuitivo, la cui esecuzione merita sempre una particolare attenzione per completezza di tecnica.
Per intuizione, “L’insonne” è forse la composizione a cui l’artista è legato di più. Nell’ascolto mi sovviene sempre “Layover” (di Hedges), per il carico di intensità che si porta appresso il pezzo molto spesso pare respirare.
Infine a chiudere il decalogo di “Anima Meccanica”, c’è “Bijoux”: una delle prime composizioni di Giovanni (ma non per questo minori) e soprattutto superstite della sua pignoleria artistica. Un pezzo semplice, vivace e spontaneo. Non nascondo che sia il brano a cui devo l’emozione più grande.
Ma l’essere spettatrice (complice un’atmosfera nuova per la sua musica, il “Blue Note” di Milano - tempio sacro del Jazz) mi pare sia il regalo più bello.
E, nonostante la meritata acclamazione, esserci e basta.

lunedì 23 marzo 2009

Un eroe dagli occhi di ghiaccio


Timide risate, a tratti addirittura disinibite, e successivamente un silenzio grave. Ogni pellicola del regista dagli occhi di ghiaccio, o almeno in quelle che ho visionato personalmente, gli ultimi minuti costringono ad un rituale silenzio. La sorpresa, l’intensa commozione e la conseguente riflessione portano lo spettatore a chiudersi in un guscio impenetrabile; e se così non fosse o non si ha compreso nulla o si ha sbagliato film.
Clint appare affaticato, piegato da una malattia che incombe, perseguitato da un passato da soldato durante la guerra di Corea che ha tracciato in lui uno spirito razzista, un odio spietato verso il “diverso”, un desiderio di solitudine. Eastwood è intrappolato in un personaggio irriverente, carico di disprezzo, temuto dai suoi stessi familiari che, immaginandosi vittime della sua sfrontatezza, evitano qualunque raffronto. In una casa troppo grande per contenere il vuoto lasciato dalla moglie appena scomparsa, troviamo molto spesso Walt seduto in veranda a scolarsi birre americane, masticare tabacco e osservare il mondo intorno a lui che cambia ad ogni passo.
L’interpretazione di Eastwood è (inutile affermarlo ma doveroso) impeccabile. Eppure, nonostante fosse una certezza, non smette di stupire. Intenerisce lo sforzo con cui affronta una sempre più evidente malattia, diverte e poi preoccupa la sua sete di vendetta, ogni sua piccola riscossa smuove le emozioni. Lungo il perdurare della pellicola i suoi brontolii verso ogni cosa, le sue espressioni costantemente rabbiose non fanno più cronaca in quanto si cuciono addosso perfettamente al personaggio e lo spettatore impara a conoscerlo brutale e rozzo. Ma, in un istante preciso, Walt apre le sue difese e lascia passare uno spiraglio di comprensione. E’ qui che percepiamo l’unicità di un attore straordinario, la sua inarrivabile capacità comunicativa: il suo personaggio cupo diviene a volte luce a volte ombra, stupiscono i sorrisi, scuotono le sue paure, si ha improvvisamente di fronte un’anima ricca di fragilità e abbandono.
Questo film mi ha fatto ripensare molto al capolavoro “Mystic River”, le tematiche della colpa e del perdono, con le stesse sensazioni di rabbia e frustrazione. E’ l’ennesimo pugno allo stomaco, di quelli che solo un genio come Eastwood sa sfoderare, seguito da un’eco di sensazioni che si accollano senza dare tregua. Lento e all’occorrenza spietato, complesso ma nel contempo reale. Il personaggio di Walt Kowalski è un mosaico da comporre, nel quale ogni elemento è sospeso fra la vita e la morte e quest’ultima aleggia sospettosa in attesa di rubare spazio nel momento opportuno.
Clint non sbaglia mai. Nemmeno quando si tratta di fumarsi una sigaretta di fronte a uomini armati. Pollice ed indice a forma di pistola. E non chiamatelo Wally.
Trama
Lo scontroso Walt Kowalski (Clint Eastwood) è un reduce dalla guerra in Corea, pensionato dopo anni di lavoro alla Ford (di cui conserva un’autentica Ford Torino, un gioiello che custodisce gelosamente in garage) torna a casa dopo il funerale della moglie. Ad aspettarlo la sua cagnetta, l’amata birra, la solitudine e i poco graditi vicini di casa di cultura Hmong. Walt nutre infatti un puro odio verso i “diversi” che, piano piano, insediano il quartiere in cui abita da anni.
Dopo che il giovane Thao (Bee Vang) tenta di rubargli l’amata auto, fra i due nasce una sorta di complicità. Ed insieme affronteranno una delicata situazione che insegnerà loro ad amare la vita, il dolore e gli affetti.
Citazioni
- Walt Kowalski (Clint Eastwood) "Quanti topi di fogna possono starci in una stanza?"
- Walt "Avete mai fatto caso che ogni tanto si incontra qualcuno che non va fatto incazzare? [sputo]... Quello sono io"
- Walt "Qualsiasi cosa farò loro saranno spacciati"
- Walt "Quello che ossessiona di più un uomo è cio che non gli è stato ordinato di fare"
Carta d'identità
Titolo originale: Gran Torino
Titolo italiano: Gran Torino
Data di uscita (in Italia): 13 Marzo 2009
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 116'
Regia: Clint Eastwood
Cast: Clint Eastwood, Christopher Carley, Bee Vang, Ahney Her, Brian Haley, Geraldine Hughes, Dreama Walker, Brian Howe, John Carroll Lynch, William Hill, Scott Eastwood
Da vedere: Assolutamente. Poiché straordinario, intenso e toccante. Un quasi capolavoro e senza ombra di dubbio indimenticabile. Intenso ed unico.

domenica 15 marzo 2009

Tutto in una notte


Gabriele Salvatores e Niccolò Ammaniti, regista e romanziere, di nuovo uniti da un’opera straordinaria, come nel 2003 lo era stata “Io non ho paura”. Ammaniti è la mente, Salvatores gli occhi. L’uno fruga parole, l’altro concretizza le fantasie.
Come Dio comanda” mi ha riportato alla mente quanto “Io non ho paura” mi avesse impressionata. Sono passati sei anni e molte visioni. Quasi l’avevo dimenticato.
Il filone rimane quello della favola nera, dove un bambino ne è la vittima e la violenza il carnefice. Anche in questa occasione il fulcro della vicenda è un evento tragico, pochi secondi e la trama che pareva incentrata sul rapporto morboso fra Rino Zena (Filippo Timi è un padre rabbioso, incosciente e alcolizzato) e il figlio Cristiano (Alvaro Caleca) cambia rotta. Un bosco immerso nel buio, un temporale rumoroso e l’ultimo gesto di follia, restano l’emozione più forte.
I due tempi separano due sensazioni diverse. Il primo collima con l’illusione di avere di fronte una visione riflessiva, di un padre inaffidabile rimproverato dai servizi sociali ma lasciato solo dalla società, sfaccendato e dissidente. Di un adolescente timido e inquieto, schivato dai compagni con il solo affetto precario del padre a farlo sentire vivo. Spunta una terza figura, in un quadro già di per sé doloroso: quella di un impeccabile Elio Germano (Quattro Formaggi), nei panni di un’altra vittima orfana di giustizia che, dopo un grave incidente sul lavoro, vive in un mondo di Presepi, burattini parlanti e pornodive alla tv. A cavallo dei due tempi, il pubblico ammutolisce, divenendo spettatore di un fatto angoscioso. E in un istante la sedia scotta, la sala rimpicciolisce e l’inquietudine attanaglia la gola.
Si è improvvisamente consapevoli che, la pellicola, ruoterà tutt’intorno a questo epilogo drammatico e che gli spettatori altro non sono che i testimoni silenziosi di un incubo. Gabriele Salvatores gioca molto con le sensazioni, lavorando sui confini del thriller e insistendo molto sull’interazione fra adulto e bambino, dove molto spesso i due ruoli non hanno contorni ben definiti.
Osserviamo il mondo che circonda i tre protagonisti, deducendone il presente. Ne ricaviamo emarginazione, disperazione e collera che non possono essere messi a tacere. Immaginiamo dunque che, la pellicola, ci aiuti a conoscere quello che è stato. Invece, la sorpresa, consiste nel non raccontare nulla del passato.
In una notte eccessivamente carica di metafore, si andrà delineando un futuro. Forse ancora più incerto, del loro durante.
Trama
Rino Zena (Filippo Timi) è un padre disoccupato, con palesi problemi di alcol e di violenza repressa. Il figlio Cristiano (Alvaro Caleca) cresce in un clima crescente di instabilità, severità e ovvia solitudine. Quattro Formaggi (Elio Germano), gravemente offeso dopo un incidente sul lavoro, si aggrappa alla loro emarginazione per riuscire a vivere. “Come Dio comanda”, racconta la loro personale lotta contro l’abbandono improvvisamente spezzata da un incubo che cambierà per sempre il destino di tutti.
Citazioni
- Rino Zena (Filippo Timi) "Mannaggia la putt..., le cose che ci diciamo non le devi dire a nessuno"
- "La libertà è una parola che serve per fottere la gente"
Carta d'identità
Titolo originale: Come Dio comanda
Data di uscita (in Italia): 12 Dicembre 2008
Genere: Drammatico
Durata: 103'
Regia: Gabriele Salvatores
Cast: Elio Germano, Filippo Timi, Fabio De Luigi, Alessandro Bressanello, Angelica Leo, Vasco Mirandola, Vasco Mirandola, Alvaro Caleca, Carla Stella
Da vedere: per provare che, il cinema nostrano, ha talento. Dalla maestria nascono solo emozioni. Sussultante.

Guestbook