lunedì 22 settembre 2008

Bruciare dopo aver letto

Se c’è una parte di me alla quale non so proprio rinunciare, è quella emotiva. Se ho di fronte a me qualcosa di eccezionale, sono inarrestabile. Di conseguenza amo i film sorprendenti, pungenti e immediati. Sono predisposti a “colpire” lo spettatore senza lasciare il tempo di riprendere fiato, sfoderando creatività ininterrottamente.
Il primo fotogramma si apre sull’infinito paesaggio cosmico, restringendosi poi verso l’America, ancora rimpicciolendosi su Washington e in ultimo sulla sede della CIA, sulle scarpe tirate a lucido di Osborne Cox (John Malkovich): il tutto sotto il ritmo incalzante di una colonna sonora targata Curter Burwell. Un gioco scenico che allude a quanto di poco venga lasciato al caso. Come stando ad indicare che, qualunque opera maestosa, ha un’origine piccola piccola.
Solennità che si concretizza con la conoscenza dei personaggi coinvolti: l’abilità dei fratelli Coen sta proprio nel valorizzare, in ciascun interprete, un aspetto satirico che non ti aspetti. Inoltre, ogni figura nata dalla loro creatività, mostra una debolezza a sua immagine e somiglianza, come fosse un cartellino di riconoscimento da esibire ad ogni entrata in scena.
Primo fra tutti (malgrado non mi abbia mai veramente convinta come attore) Brad Pitt: stupisce, e non poco, la sua personalità ingenua divisa fra i-pod e biciclette, chewingum sempre in vista e spassose coreografie. Soltanto dai Coen poteva nascere un Pitt così “colorato”, un personaggio secondario che si mangia l’intera scena.
Altra lancia spezzata a favore di George Clooney, un personaggio “scomodo” un po’ per tutti, che finirà per tormentare anche se stesso. Ma si sa, quando si è alla resa dei conti è semplice riconoscere gli errori.
Prelibatezze giungono anche dai personaggi femminili: la glaciale e dispotica Tilda Swinton e la perfetta Frances McDormand (o se preferite, signora Coen), che sfrutta con bravura la sua versatilità (l’avevo appena conosciuta e ammirata nelle vesti della poliziotta incinta di “Fargo”, Oscar come migliore attrice protagonista) fregandosene degli stereotipi impossibili alla Charlize Theron.
Merita un plauso a sé, John Malkovich, che di primavere ne conta cinquantacinque, eppure i suoi personaggi politicamente scorretti gli si cuciono addosso alla perfezione e, nonostante il linguaggio poco elegante sia al limite del possibile, recita con tanta naturalezza da non apparire volgarmente eccentrico.
Vogliamo parlare di alcuni frammenti di pura follia “coeninana”? Dalla telefonata minatoria del duo Pitt-Swinton (“Osborne Cox? Sono un buon samaritano…”) all’espressione intimidatoria di Pitt in versione giacca, cravatta e caschetto da ciclista. O ancora, l’effetto sorpresa di fronte a scene di violenza che, in un film di questo genere, proprio non ti aspetti. O di J. K. Simmons, il Dirigente della Cia che appare soltanto negli ultimi minuti, a chiudere in bellezza una spirale di vicissitudini senza tregua.
Preferirei che fossero gli spettatori stessi, a concretizzare le mie parole, queste esperienze non vanno lette, ma vissute. Vi raccomando, occhi attenti al minimo dettaglio: scordatevi di aver a che fare con una “commediuccia” americana.

I fratelli Coen si divertono e con loro anche noi. Un film sotto mentite spoglie da commedia con quel retrogusto amaro al quale menti geniali come quelle dei Coen non sanno rinunciare. Ma, in realtà, nemmeno io. Questo è ancora cinema vero, per fortuna.
Come se, per i fratelli Coen, fosse normale non sbagliare mai.
Trama
Linda (Frances McDormand), è un’insoddisfatta dipendente della “Hardbodies Fitness Centers”, una palestra di Washington. Il suo desiderio è quello di sottoporsi ad un intervento chirurgico per donare al suo corpo un aspetto più fresco e tonico. Nel contempo, è alla ricerca dell’uomo giusto. Il collega Chad (Brad Pitt) trova un cd con al suo interno memorie segretissime (“roba che scotta”) di un analista della CIA, Osborne Cox (John Malkovich) il quale a sua volta si ritrova licenziato in tronco e con una moglie in vena di divorzio. Quest’ultima (KatieTilda Swinton), pretende di più dall’amante Harry (George Clooney), un agente dei servizi segreti, con un debole per le donne, i pavimenti e un’avversione per il formaggio di capra. Intanto, il Dirigente della CIA (J. K. Simmons) fa orecchie da mercante. Una trama intricata, per un film geniale in perfetto stile “Coen”.
Citazioni
- "Da tutto questo non può venire nulla di buono".
Carta d'identità
Titolo originale: Burn After Reading
Titolo italiano: A prova di spia
Data di uscita (in Italia): Venezia 2008 - 19 Settembre 2008
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 95'
Regia: Ethan Coen, Joel Coen
Cast: Brad Pitt, George Clooney, Frances McDormand, John Malkovich, Tilda Swinton, Matt Walton, Logan Kulick, Eric Richardson
Da vedere: non trovo parole legittime per consigliarvi questa visione. Semplicemente “imperdibile”, che sa di scappatoia, ma rendo bene l’idea di quanto talento “esploda” dal grande schermo. Geniale.

mercoledì 17 settembre 2008

Il mondo di Giovanna


Che questo film mi avrebbe scossa, già lo sapevo. Ciò che non potevo prevedere era lo stato emotivo che mi avrebbe tenacemente attanagliato lo stomaco a sipario calato. Questa pellicola racchiude quanto più di profondo, un uomo, possa cogliere in un’emozione. A dispetto della prevedibilità con la quale, spesso, ci troviamo a fare i conti, la commozione è incalzante, resta un groppo in gola impossibile da sciogliere. La pellicola è attraversata da suoni e colori inequivocabili, come se riconoscendoli ogni spettatore trovasse un punto di appoggio su cui sentirsi al sicuro: il suono del campanello della casa del poliziotto Sergio Ghia (Ezio Greggio), i colori spenti delle ambientazioni, l’abito in raso di Giovanna (Alba Rohrwacher). E ancora pone il pubblico di fronte a diverse sfaccettature di vivere e mostrare l’amore: quello autentico di uno splendido Silvio Orlando, verso l’amata figlia Giovanna, nel quale un senso di responsabilità ed eccessiva protezione lo inducono a negare l’evidenza. Quello della madre Delia (Francesca Neri) silenzioso e privo di appartenenza, come ogni donna si capacita di ciò che le accade intorno ma a differenza di ogni madre ne ignora l’esistenza. E poi c’è Giovanna, il suo modo fanciullesco di vivere gli affetti non le impedisce di guardare in faccia alla realtà, di interpretarla sì in maniera ingenua, ma comunque di addentrarsi laddove nessuno ha il coraggio di arrivare. Perfetta nel ruolo, Alba Rohrwacher, inghiottisce la sensibilità dello spettatore, rendendolo debole di fronte al suo personaggio: quando appare sullo schermo si teme una sua reazione illogica, un gesto estremo, un ragionamento incoerente. Tutti “vedono” ma nessuno “osa”.
Questa pellicola ha la forza di un ciclone a ciel sereno, si materializza inaspettatamente senza concedere una possibile via di fuga. Ha un ritmo lento, apparentemente senza inflessioni, quando d’improvviso si è testimoni di un tragico istante: il ritrovamento di un cadavere, il primo dialogo fra il padre e Giovanna, quando quest’ultima viene portata in carcere (uno scambio di battute aspro dopo tanta dolcezza, in una situazione paradossale in cui Michele è in cerca di un briciolo di speranza e Giovanna non presenta sintomi di rammarico), la decisione ultima di Michele nei confronti della moglie.
Tutti atti d’amore interpretati dai nostri occhi e dal nostro cuore: ritengo che il nuovo lavoro di Pupi Avati sia per questo molto intimo e personale.
Un film che somiglia all’immagine della luna riflessa sull’acqua: la forma è distorta dal movimento delle onde. Quella reale è visibile soltanto alzando lo sguardo. Per un film di questo valore, vale la pena lanciare lo sguardo un po’ più su.
Trama
Bologna, 1938. Michele Casali (Silvio Orlando) insegna disegno nello stesso Istituto dove studia la figlia Giovanna (Alba Rohrwacher). Il rapporto fra i due è molto stretto, tanto che la madre (Francesca Neri) viene spesso esclusa dalle confidenze della giovane. Giovanna, però, inizia a dare segni di squilibrio che tormentano non poco il padre, mentre la madre sembra accoglierli senza sorpresa. Quando alla porta si presenta il poliziotto Sergio Ghia (Ezio Greggio), il futuro della giovane cambierà solennemente e il dramma intaccherà radicalmente i suoi genitori, costringendoli a fare i conti con l’ignorata realtà.
Citazioni
- "Non puoi costringere una donna ad amarti"
Carta d'identità
Titolo originale: Il Papà di Giovanna
Data di uscita (in Italia): Venezia 2008 - 12 Settembre 2008
Genere: Drammatico
Durata: 104'
Regia: Pupi Avati
Cast: Silvio Orlando, Francesca Neri, Ezio Greggio, Alba Rohrwacher, Serena Grandi, Gloria Cocco
Da vedere: poiché questo film, mette alla prova la sensibilità di ognuno. Intimo.

domenica 14 settembre 2008

Dalle parole alle immagini


Ci sono trasposizioni e trasposizioni. Lessi "Un giorno perfetto" tre anni fa, non conoscevo Melania Mazzucco ma spesso entro in libreria e mi lascio trasportare dalla copertina o dalle prime righe della trama: non amo informarmi nello specifico di ciò che andrò a leggere (o vedere), non ha senso dare un nome ad un'emozione che si deve ancora vivere.
Dopo quel libro, ne ho letti altri e altri ancora hanno riempito gli scaffali della mia stanza, eppure la linea della storia, la modalità con cui è scritta e le sensazioni che mi hanno toccata sono ancora impresse nella mia memoria. Come a dire che, nonostante il percorso fatto, quel "paesaggio" resta fermo nel cassetto dei ricordi.
Quando ho capito che, l'ultimo lavoro di Ferzan Özpetek, era tratto da quel romanzo ne ero curiosa e spaventata allo stesso modo. E' complicato concretizzare un capolavoro di parole, in immagini altrettanto meritevoli. Aggiungerei, scelta azzardata e per questo encomiabile.
Ho affrontato la visione con un entusiasmo controllato, continuando mio malgrado ad accostare il componimento narrativo a quello cinematografico. Posto il fatto che se non avessi letto il libro, avrei probabilmente criticato la pellicola in maniera differente, questo film mi ha attraversato l'anima.
Sebbene mi sentissi preparata ad affrontare l'impatto doloroso che ne consegue dal tragico epilogo, la commozione mi ha trafitto nell'intimo più profondo, rendedomi molto vulnerabile e scostante. Per questo motivo, ho atteso qualche giorno prima di fermare il vortice di emotività. A mio avviso, il regista ha incentrato gran parte della vicenda sull'atto conclusivo che è poi è il "chiudersi del cerchio" che andava delineandosi durante il film. Cerchio che ha preso vita dalle fragilità di ciascun personaggio: dapprima semplicemente tracciate e poi rifinite con gesti palesi. Al centro di tutto, la sofferenza di Antonio (Valerio Mastandrea), sento ancora l'eco del suo tormento, prima un grido muto e poi un urlo disperato.
Özpetek fa perno sulla consapevolezza degli interpreti: Isabella Ferrari si è trovata spesso ad impersonare ruoli drammatici e l'esperienza si denota. Lo stesso Mastandrea ha le sembianze di un cane innocuo, che improvvisamente viene attraversato da un lampo di follia. Occhi feriti, sguardo vuoto, perennemente incerto sulle responsabilità. Il ruolo di Angela Finocchiaro (non la ricordo assolutamente nel romanzo) dona alla pellicola uno sguardo di speranza, in quella fatidica casualità c'è l'illusione di poter guardare avanti. Le altre vicende, sono piccole realtà intorno ad una grande sofferenza generale.
E infine la morte, emblema della fine di un insopportabile tormento, che però implica creature innocenti: da sottolineare la raffinatezza con cui Özpetek affronta questo istante delicato, l'occhio della telecamera mostra immagini velate da un divano, dalla tv accesa, da una porta socchiusa, oggetti di vita quotidiana contaminati dalla follia. Gli spari, le urla di chi ingenuamente ci aveva creduto e quei corpi esanimi che fai fatica ad accettare.
Dalle retrovie c'era un gruppo di ragazzini che, con tutta probabilità, non aveva idea di quale film si trattasse, più desiderosi dell'intimità che si viene a creare in sala a luci spente. Durante la visione, non hanno fatto altro che rumoreggiare irrequieti, a quindici minuti dal termine del film quello schiamazzo è divenuto un timido mormorio sino a che, al momento più concitato, uno di loro ha urlato "Non farlo". Come se, le loro emozioni, potessero cambiare l'ordine inarrestabile della tragedia che si stava consumando.
Voglio pensare che il cinema sia anche questo. Un incontrollabile impeto di vita vera.

Trama
Antonio, (Valerio Mastandrea) dopo un anno di silenziose sofferenze, decide di riconquistare la fiducia della ex moglie e l'affetto dei due figli. L'Onorevole Elio Fioravanti, si preoccupa dell'incombente comizio elettorale, trascurando la sua giovane moglie Maja (Nicole Grimaudo). Aris (Federico Costantini) si ribella al suo destino di avvocato. La Professoressa Mara (Monica Guerritore) attende con fiducia l'appuntamento con l'amante. Ognuno attore della propria vita, ognuno responsabile delle proprie paure, arrendevole di fronte alle proprie fragilità. Improvvisamente uniti dall'inevitabile destino e spettatori di un imminente e preannunciata tragedia.
Citazioni
- Emma (Isabella Ferrari) "Sai cosa hai fatto? Mi hai fatto venire voglia di vivere... Io vivo, senza di te"
- Antonio (Valerio Mastandrea) "...perchè io non voglio dimenticare, non la voglio una vita nuova, l'unica cosa che voglio io... è tornare con te"
Carta d'identità
Titolo originale: Un giorno perfetto
Data di uscita (in Italia): Venezia 2008- 05 Settembre 2008
Genere: Drammatico
Durata: 105'
Regia: Ferzan Özpetek
Cast: Isabella Ferrari, Valerio Mastandrea, Valerio Binasco, Nicole Grimaudo, Federico Costantini, Monica Guerritore, Angela Finocchiaro, Stefania Sandrelli, Christian Serritiello, Fausto Maria Sciarappa
Da vedere: l'evolversi della vicenda sfocia in una catena crescente di emozioni, tutte da vivere e soffrire. Volutamente alleggerito rispetto al romanzo da cui è tratto, è comunque devastante.

domenica 7 settembre 2008

Tra follia e realtà


QUELLO CHE VEDRETE E’ UNA STORIA VERA.
I fatti esposti nel film sono accaduti nel 1987 in Minnesota.
Su richiesta dei superstiti, sono stati utilizzati dei nomi fittizi.
Per rispettare le vittime tutto il resto è stato fedelmente riportato.

Questa Domenica di pioggia, mi ha regalato un (quasi)capolavoro. Quando lavori l’intera settimana, quando riposi poco e pensi molto, necessiti di un (quasi)capolavoro. Il tuo cuore ed i tuoi occhi, bramosi di celluloide, pretendono emozioni.
Quando desideri un bicchiere di latte, non esiti ad aprire il frigo. Quando abbisogno di un Gran film, non dubito nel consultare la filmografia dei Fratelli Coen. Attraverso il consiglio di due Amici (di cui mi fido ciecamente della loro sensibilità cinematografica- e non solo) mi sono imbattuta in una ricerca forsennata di “Fargo”, pareva di chiedere un bicchiere d’acqua gasata con tre cubetti di ghiaccio in mezzo al deserto: un oggetto mai arrivato nemmeno sugli scaffali polverosi delle videoteche italiane, come se non meritasse un posto fra i “Big” Dvd in esposizione. Per fortuna c’è la nuova tecnologia. E gli amici.
Dodici anni fa, i fratelli Coen, hanno realizzato questo semicapolavoro, che mi ha portato alla memoria i fremiti provati per “Non è un Paese per vecchi” (a mio avviso IL capolavoro assoluto). L’ombra di Anton Chigurh è proiettata dietro ad ogni inquietudine, la violenza (fisica e morale) risulta sporadica ma concentrata negli ultimi trenta minuti di film (anziché distribuita equamente lungo tutta la trama) e i fotogrammi cruenti sono più rari ma meno preannunciati: nessun salto di serratura o passi incalzanti di stivali costosi. La follia, però, persiste e aziona nuovamente il gioco irrinunciabile dell’alta tensione: è stavolta dosata, con abilità, a due personaggi di contrasto, un tranquillo venditore di auto Jerry Lundegaard (un bravissimo William H. Macy) costretto a piani criminosi per sviare a problemi economici, e il taciturno (ancora una volta il silenzio. Come se, ogni gesto compiuto- il più delle volte folle – sostituisse le parole non dette) Gaear Grimsrud (interpretato dall’imponente Peter Stomare), un personaggio dallo sguardo vuoto e glaciale (alla Coen, insomma). A proposito di personaggi riusciti, il complice di Grimsrud, è un loquace Steve Buscemi, splendido da scaltro quanto da uomo ferito.
E sono anche le ambientazioni a rendere il tutto follemente riuscito: l’infinita e candida distesa di neve in uno sperduto paese del North Dakota (Fargo, per l’appunto), troppo bianca e mai calpestata per restare tale, prima o poi dovrà cedere sotto il peso della vita vissuta. Il sangue, quel rosso così vivo, è una macchia indelebile sulla pace delle persone coinvolte.
Il personaggio di Marge Gunderson (nella realtà moglie di Joel Coen), è quello che in punta di piedi segna il film: nella sua ingenuità ed inesperienza in campo investigativo, risolve in tutta fortuna, il caso. Mentre trasporta il criminale verso la prigione, il primo piano dei suoi occhi incerti, ci rende vulnerabili: noi spettatori conosciamo la verità ma non la possiamo utilizzare in alcun modo mentre lei, vittima di quella realtà, ne rimane ignara. Siamo immobili come quella statua del taglialegna che dà il benvenuto, in North Dakota, agli automobilisti sconosciuti.
Anche il taglialegna ha la sua fetta di crudeltà: la sua ascia spezza la vita di chi non può difendersi. Ma, di tanto in tanto, può accadere anche che il più debole abbia la meglio sui più forti. Ed allora, la vittoria, avrà un sapore più intenso. Come questo film.

Fedeli Lettori,
questo è cinema…
Trama
Jerry Lundegaard (William H. Macy) è il responsabile delle vendite di una concessionaria del Minneapolis (Minnesota), in proprietà del suocero. Sommerso dai debiti organizza un finto sequestro della moglie, assumendo l’incarico a due criminali del North Dakota. Mentre il piano non prevedeva spargimenti di sangue, la realtà dei fatti avviene con troppi ostacoli che porteranno, ognuna delle persone coinvolte, a cambiare il proprio destino.

Citazioni
- Carl Showalter (Steve Buscemi) "Non è che muori se dici qualcosa" - Gaear Grimsrud (Peter Stomare) "L'ho detta"
- Gaear "Chiudi quella boccaccia o ti rimetto nel portabagagli" - Carl "Caz... hai detto la frase più lunga della settimana"
- Carl "Tu prendi il furgone, io prendo la Sierra" - Gaear "Quella la dividiamo" - "Come caz... facciamo a dividere in due una macchina? Con una motosega?"

Carta d'identità
Titolo originale: Fargo
Titolo italiano: Fargo
Data di uscita (in Italia): 1996
Genere: Drammatico
Durata: 97'
Regia: Joel Coen
Cast: Frances McDormand, Steve Buscemi, William H. Macy, Peter Stormare, Harve Presnell, John Carroll Lynch
Da vedere: a parte qualche film “stonato”, sono sicura che la carriera dei Fratelli Coen è da rivivere tutta d’un fiato. Sorprendente.

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