lunedì 17 dicembre 2007

Demotivata inquietudine


Non mi sono mai sentita così spaesata.
Perplessa. “Agonizzante”. Alla ricerca di un appiglio a cui aggrapparmi (poiché, essendo scivolata sul fondo della poltroncina, nemmeno il bracciolo era sufficiente a riportarmi a galla), un barlume, un’interpretazione. Nulla.
Ho cercato (invano) di scavare nell’intimo più profondo, frugare sensazioni e trovare un briciolo di commozione, di brividi. Di nuovo, vuoto.
Palma D’oro a Cannes. Vorrei potermelo spiegare.
Compio l’ennesimo (ed ultimo) tentativo di analisi cercando di filtrare tutto ciò che concerne l’aspetto emotivo, evitando di “inquinare” il giudizio tecnico. La trama si muove lentamente, attraverso riprese “in vivo”, rendendoci ancor più partecipi agli eventi progressivamente drammatici di cui siamo spettatori (e “vittime”). Una ripresa ferma e ordinata (ma pur sempre casereccia) si alterna a quella dinamica e confusionale negli istanti di agonia della protagonista Otilla (concentrati, dunque, nei minuti finali della pellicola). Pertanto, ci troviamo ripetutamente di fronte a scene senza logica: come nel caso della corsa disperata di Otilla dopo l’avvenuto aborto dell’amica, il suo respiro affannoso, l’assenza della colonna sonora (una privazione intollerabile, che rende ancor più asettica l’atmosfera ricreata) ed il buio (spesso insistente, sufficiente a renderlo assurdo) trasmettono sì angoscia (questo credo sia l’obiettivo principale del regista), ma anche noncuranza nei riguardi dello spettatore. Un esempio calzante è quello nel quale Otilla si ritrova a casa del fidanzato Adi, appena dopo l’esperienza traumatica dell’aborto illegale dell’amica (e non solo). Un piano sequenza alquanto inutile: lo “sguardo” fisso della telecamera sulla tavolata intenta a festeggiare il compleanno della madre di Adi, sei persone irrilevanti (al fine della storia in sé), di cui non conosciamo nemmeno il nome, si prendono una fetta di cinque minuti abbondanti rendendo la visione ancora più macchinosa, il tutto per intensificare (immagino) l’inquietudine della giovane Otilla. Cinque insignificanti minuti che diventano “pesanti” da digerire. Ne bastava soltanto uno.
Questo è solo un esempio, la sensazione di disagio davanti all’immobilità scenica è in realtà “compagna” di poltrona per la maggior parte del tempo. Mi sentivo irrequieta davanti a tale “spreco”.
Una trama che poteva essere articolata in modo più coinvolgente, senza dubbio.
La lentezza nasce dal bisogno di far crescere, nello spettatore, quel senso di inquietudine. Caratteristica mal gestita, considerata la bravura di Anamaria Marinca nei panni di Otilla; il film, infatti, ruota intorno al suo carattere, dapprima forte ed incoraggiante, in seguito sconvolto e fragile: la naturalezza con la quale compie questa metamorfosi vale la permanenza (più volte messa in discussione) in sala.
Infine, come in qualunque scelta o rinuncia, non si possono emarginare i sentimenti. Una trama che aveva il sapore amaro ancor prima di entrare in sala e che lo conserva (ma per altre ragioni) quando si lascia lo schermo alle spalle. Il feto (poiché di vita umana si tratta), adagiato sul freddo pavimento di un bagno e poi abbandonato al buio di uno scarico rifiuti (ho ancora nelle orecchie il suono provocato dal fagottino gettato nello scarico, un vero pugno allo stomaco), diventa protagonista assoluto dei pensieri posteriori alla visione. Non mi capacito della necessità di MOSTRARE il corpicino privo di vita: ha soltanto la pretesa di lasciarci un’immagine davvero sconvolgente (da togliere il fiato) in un insieme di altre prive di senso.

Trama
Romania. Anni ’80. In un paese dove l’aborto è considerato un reato, ci troviamo coinvolti nel caso di Gabjta una giovane studentessa che, con l’aiuto dell’amica Otilla, decide di abortire illegalmente. Dopo aver affittato una stanza di un albergo e contattato un medico (che, però, rischia l’arresto), Gabjta si sottopone all’intervento. Ogni cosa, naturalmente, ha il suo prezzo. E in questo caso non si tratta di denaro.
Un’esperienza che, nonostante riguardi direttamente Gabjta, sconvolgerà non poco Otilla. La vicenda, infatti, la vivremo attraverso i suoi occhi dapprima apparentemente “freddi” e poi, progressivamente tristi, mostrandoci così il suo lato di giovane donna, fragile e sola.

Citazioni
- Otilla (Anamaria Marinca) osserva il quadro appeso alla parete al di sopra del letto, mentre l'amica Gabjta si prepara all'intervento "Bella questa natura morta"
- Otilla, dopo essersi liberata del corpicino, torna all'albergo e trova Gabjita al ristorante intenta a mangiare un antipasto di cervello "Avevo fame", si giustifica

Carta d'identità
Titolo originale: 4 luni, 3 saptamini si 2 zile
Titolo italiano: 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni
Data di uscita (in Italia): Cannes 2007 - 24 Agosto 2007
Genere: Drammatico
Durata: 113'
Regia: Cristian Mungiu
Da vedere: opinioni differenti possono aiutarmi a capire cosa davvero questo film vuole trasmettere. Io, probabilmente, non sono riuscita ad apprezzarlo sino in fondo. Aiutatemi. Indefinibile e senza pretese.

martedì 4 dicembre 2007

Lezioni di… cinema italiano


Ci sono giorni, come questi, nei quali una parte di me (la meno razionale e la più istintiva) è coinvolta in un’atra dimensione, sospesa tra la felicità e la prudenza. I giorni sono passaggi, ed in questo passaggio vivono sensazioni diverse. Nella speranza che questo non mi porti ad avere idee confuse, vi chiedo anticipatamente perdono se non dovessi essere all’altezza delle vostre aspettative. Inoltre desidero esprimere la mia immensa gratitudine per le persone che mi hanno fatto compagnia durante la visione, il loro incoraggiamento a continuare a scrivere è qualcosa di prezioso, al quale non voglio rinunciare mai, come alla loro presenza.
A loro è dedicato questo post.

Quantificando le lance spezzate nell’ultimo mese, a favore del cinema italiano, mi sono preparata la legna per l’inverno. Ma se i risultati continuano ad essere così soddisfacenti, mi sta bene racimolarne anche per gli anni venturi.
Con la garanzia non solo di risparmiare sulla bolletta, ma anche di sentirmi così bene all’uscita dalla sala.
Premunita di medie attese (tanto per non rimanerne delusa), sono andata incontro alla commedia italiana. Una sorta di pensiero (che recitava più o meno: “Prima o poi diventerà banale, me lo sento me lo sento”) mi ha attanagliata per tutto il perdurare della pellicola, senza però interagire in maniera insistente con il gustoso piacere di essere spettatrice di “Lezioni di cioccolato”.
I suggerimenti per essere considerato “non necessariamente imperdibile” ci sono, eccome: Luca Argentero, su tutti. Come può un “prodotto da reality show” divenire attore?! Sapersi esprimere correttamente? Meritare di “soggiornare” sul grandeschermo? Effettivamente, tutti i grandi sono stati “piccoli” interpreti o comunque da qualche parte avranno pur dovuto emergere. Ora, da qui a considerarlo “eccelso” ne deve passare di alta marea sotto i ponti, ma Argentero ha mostrato buone qualità: la modestia, per esempio. Ha saputo fondersi perfettamente con il suo personaggio, senza eccedere, ma recitando con naturalezza ed intelligenza.
Inoltre, da una commedia si pretende la spensieratezza, ma con logica. Molto spesso, invece, ci si trova davanti a scene mediamente divertenti ma inserite casualmente in un contesto forzatamente sensato.
In questo caso, invece, non si ha davanti semplicemente una pellicola "giocosa" ma anche una trama ben articolata in equivoci azzeccati e personaggi eloquenti, che la trasformano in una piacevole sorpresa.
Come il personaggio di Kamal (Hassani Shapi), l'operaio egiziano: splendido nei suoi sguardi ironici, nel suo "Gnam Gnam", nel suo parlare italiano a stento, nell'innata simpatia e nelle sue umili (ma forti) tradizioni.
Il rapporto (inizialmente "obbligato) tra i due co-protagonisti (Kamal, appunto, ed il suo datore di lavoro - Luca Argentero) ci fa sorridere , ci intenerisce ed infine ci fa gioire.
Insomma, un film che non impegna (seppur "sfiora" il delicato ed attuale problema immigrazione) ma che lascia una certa tenerezza nel cuore e che ci fa vivere un "piccolo momento di estasi" proprio come il perfetto (quasi scontato ammetterlo) Neri Marcorè (nei panni del Maestro) pretende dal suo cioccolato.
E se, al termine della visione, verrà voglia di assaporare un cioccolatino ripieno di nocciole umbre e datteri egiziani, significa che il film è stato gratificante... dove andare a prenderlo, questo non mi riguarda. E' il potere immenso del cinema.

Trama
Kamal (Hassani Shapi), è un operaio egiziano impiegato (in nero) nella ditta di Mattia (Luca Argentero), un giovane imprenditore edile. Mentre si trova impegnato in lavori di manutenzione, Kamal cade da un tetto privo di ponteggi (in perfetto stile "più risparmio, più guadagno") e si ritrova ingessato dalla vita in su. Impossibilitato a muovere le braccia, dunque, non può partecipare al corso al quale si era iscritto, quello di cioccolataio: se non che, aggrappandosi all'unica speranza, inizia a ricattare il suo datore di lavoro (Mattia) costretto vesire i panni dello stesso "Kamal", per evitare una denuncia. In una pellicola dove non mancano intrecci amorosi, inconsuete amicizie e scene esilaranti, diventa facile trovare il sorriso.

Citazioni
- Mattia (Luca Argentero) "Dimmi tu se uno si deve sentire un criminale perchè vuole rimanere sul mercato!"
- Maestro cioccolataio (Neri Marcorè) "Qui, si fanno piccoli momenti di estasi"
- "Insegnare è il miglior modo per imparare"
- Mattia nei panni di "Kamal" "Giuro su tutto quel che ho di più caro al mondo... piramidi! Piramidi e... anche Sfinge!"
- Maestro cioccolataio "Innovare, significa fare qualcosa che duri nel tempo"
- Mattia a Cecilia (una dolce e un tantino agitata Violante Placido) "Tu sei condannata agli STR... ed io sono il migliore"

Carta d'identità
Titolo italiano: Lezioni di cioccolato
Data di uscita (in Italia): 23 Novembre 2007
Genere: Commedia
Durata: 99'
Regia: Claudio Cupellini
Da vedere: per provare quella leggerezza nel cuore, che tanto ci fa amare le commedie (quelle buone, ovviamente).

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