
Ieri sera, quando ho preso a noleggio questo film, non dovevo essere lì.
Non dovevo trovarmi a scorrere con smanioso affanno la lista delle “ultime novità” con la fievole speranza che, almeno stavolta, non mi avrebbero fregato il film- e solo per questione di secondi! E non avevo nemmeno voglia di pensieri “omicidi”, quell’improvviso ed irrefrenabile desiderio di strangolare il povero malcapitato noleggiatore che mi precedeva e che, casualmente, aveva avuto la mia stessa idea. E non desideravo divani, pop-corn, latte e biscotti o che altro.
Invece ero lì.
E con me, c’era anche “The Prestige”. Che culo.
Esistono pellicole che ti “farciscono” di emozioni, che turbano le notti o che danno risposte a domande che non ti ponevi. E poi ci sono quelli che trasmettono tutto questo. E di solito a fianco ci mettono cinque stelle o un bel 9/10.
Signori, “The Prestige” merita standing ovation, iniziale e finale. Non risparmiatevi.
A cinque minuti dall’inizio, ho premuto “rew” per ben due volte (velocità 8x): mi pareva di sentirmi inebetita, forse non mi concentravo abbastanza (il pregio- o difetto- di stare a casa e non al cinema è proprio questo: il tasto “pause” (o “rew” o “fwd”) può essere premuto quante volte necessiti. Ma il vantaggio sta tutto qui. Al cinema hai il resto. Ma può anche capitare che certi film non vengano proiettati ed allora ci si “accontenta” del dolby surround, del divano e della tv a schermo piatto. Quanto meno ci si avvicina un poco). Quando, alla terza volta ed al sesto minuto, mi sono arresa allontanando il telecomando dal divano, ho intuito che, in realtà, la confusione che si prova è parte integrante del copione (phiuuu, cominciavo a preoccuparmi del troppo sole preso nei giorni scorsi), e che copione! I tasselli che costituiscono le singole vicissitudini (i protagonisti sono due) si ricompongono poco alla volta e fra l’altro non si è mai sicuri delle conclusioni a cui si arriva: in poche parole, il puzzle ha pezzi che servono a confondere, sta a noi mettere insieme quelli che riteniamo giusti ed essere poi fieri di ciò che abbiamo ottenuto.
La magia del film sta proprio nel fotogramma iniziale, che sarà poi anche quello conclusivo. Noi sapremo come finirà, ma non come ci si arriva (o sarà ancora una volta, tutta una dannata illusione?). La meraviglia di un percorso non sta alla meta, ma a ciò che vedrai attraverso.
E per i più attenti, il significato è tutto nelle meravigliose parole pronunciate inizialmente dall’intramontabile Michael Caine (è Cutter, il vecchio "ingeneur") circa queste: “Una magia è costituita da tre parti (o atti): la prima è la promessa, il mago mostra a tutti un oggetto, una persona, qualunque cosa di ordinario. La seconda è la svolta, ciò che prima era ordinario ora diventa straordinario. L’ultima, è il prestigio ed è la parte più ardua. Ciò che avete fatto sparire, dovrà riapparire”. Ma se si ripresentasse diversamente? Dov’è finito l’originale? Oppure autentico è ciò che riappare?
E, come a portare a compimento ciò che era stato iniziato, a conclusione di una storia sorprendente, Cutter resta l’unico a conoscere la verità: “State cercando il segreto, ma in realtà non lo troverete perché voi non state davvero guardando. Voi, non volete saperlo, voi volete essere ingannati”.
La magia è proprio nascosta in quel cilindro chiamato verità, che noi spettatori non vorremo mai conoscere.
L’illusionista Angier (Hugh Jackman) conferma il mio intuito verso gli attori di talento, mai visto recitare, mai ascoltata la sua voce, solo letto qualche intervista e guardato le sue foto… ma già sapevo di quanto mi sarebbe piaciuto. E non si trattava di illusione.
Ieri, non dovevo stare davanti ad un televisore a schermo piatto. Dovevo essere ad un concerto. Ed ero arrabbiata con me stessa per non esserci andata. Ma osservando distrattamente i titoli di coda ho pensato che, assistere ad una pellicola così, vale la pena di ogni rinuncia.