domenica 27 maggio 2007

Il vero prestigio è... crederci

Abracadabra… stupitevi… e non cercate risposte… ci saranno solo domande.

Ieri sera, quando ho preso a noleggio questo film, non dovevo essere lì.
Non dovevo trovarmi a scorrere con smanioso affanno la lista delle “ultime novità” con la fievole speranza che, almeno stavolta, non mi avrebbero fregato il film- e solo per questione di secondi! E non avevo nemmeno voglia di pensieri “omicidi”, quell’improvviso ed irrefrenabile desiderio di strangolare il povero malcapitato noleggiatore che mi precedeva e che, casualmente, aveva avuto la mia stessa idea. E non desideravo divani, pop-corn, latte e biscotti o che altro.
Invece ero lì.
E con me, c’era anche “The Prestige”. Che culo.

Esistono pellicole che ti “farciscono” di emozioni, che turbano le notti o che danno risposte a domande che non ti ponevi. E poi ci sono quelli che trasmettono tutto questo. E di solito a fianco ci mettono cinque stelle o un bel 9/10.
Signori, “The Prestige” merita standing ovation, iniziale e finale. Non risparmiatevi.
A cinque minuti dall’inizio, ho premuto “rew” per ben due volte (velocità 8x): mi pareva di sentirmi inebetita, forse non mi concentravo abbastanza (il pregio- o difetto- di stare a casa e non al cinema è proprio questo: il tasto “pause” (o “rew” o “fwd”) può essere premuto quante volte necessiti. Ma il vantaggio sta tutto qui. Al cinema hai il resto. Ma può anche capitare che certi film non vengano proiettati ed allora ci si “accontenta” del dolby surround, del divano e della tv a schermo piatto. Quanto meno ci si avvicina un poco). Quando, alla terza volta ed al sesto minuto, mi sono arresa allontanando il telecomando dal divano, ho intuito che, in realtà, la confusione che si prova è parte integrante del copione (phiuuu, cominciavo a preoccuparmi del troppo sole preso nei giorni scorsi), e che copione! I tasselli che costituiscono le singole vicissitudini (i protagonisti sono due) si ricompongono poco alla volta e fra l’altro non si è mai sicuri delle conclusioni a cui si arriva: in poche parole, il puzzle ha pezzi che servono a confondere, sta a noi mettere insieme quelli che riteniamo giusti ed essere poi fieri di ciò che abbiamo ottenuto.
La magia del film sta proprio nel fotogramma iniziale, che sarà poi anche quello conclusivo. Noi sapremo come finirà, ma non come ci si arriva (o sarà ancora una volta, tutta una dannata illusione?). La meraviglia di un percorso non sta alla meta, ma a ciò che vedrai attraverso.
E per i più attenti, il significato è tutto nelle meravigliose parole pronunciate inizialmente dall’intramontabile Michael Caine (è Cutter, il vecchio "ingeneur") circa queste: “Una magia è costituita da tre parti (o atti): la prima è la promessa, il mago mostra a tutti un oggetto, una persona, qualunque cosa di ordinario. La seconda è la svolta, ciò che prima era ordinario ora diventa straordinario. L’ultima, è il prestigio ed è la parte più ardua. Ciò che avete fatto sparire, dovrà riapparire”. Ma se si ripresentasse diversamente? Dov’è finito l’originale? Oppure autentico è ciò che riappare?
E, come a portare a compimento ciò che era stato iniziato, a conclusione di una storia sorprendente, Cutter resta l’unico a conoscere la verità: “State cercando il segreto, ma in realtà non lo troverete perché voi non state davvero guardando. Voi, non volete saperlo, voi volete essere ingannati”.
La magia è proprio nascosta in quel cilindro chiamato verità, che noi spettatori non vorremo mai conoscere.
L’illusionista Angier (Hugh Jackman) conferma il mio intuito verso gli attori di talento, mai visto recitare, mai ascoltata la sua voce, solo letto qualche intervista e guardato le sue foto… ma già sapevo di quanto mi sarebbe piaciuto. E non si trattava di illusione.

Ieri, non dovevo stare davanti ad un televisore a schermo piatto. Dovevo essere ad un concerto. Ed ero arrabbiata con me stessa per non esserci andata. Ma osservando distrattamente i titoli di coda ho pensato che, assistere ad una pellicola così, vale la pena di ogni rinuncia.

Trama
Robert Angier (Hugh Jackman) e Alfred Borden (Christian Bale), condividono un'amicizia che nasce dalla stessa passione: quella per il prestigio. A causa di una tragica fatalità, durante il loro più importante numero- di cui erano solo assistenti- le loro strade artistiche (ed emotive) si dividono ma non senza rancori. Robert, infatti, considera Alfred responsabile della propria agonia e, una volta che i due ottengono la fama di grandi illusionisti, matura l'idea di rubargli il suo numero più importante: "il trasporto umano". Inizia così una battaglia senza limiti, a suon di trucchi ed illusioni che metteranno in pericolo le loro vite (e non solo) e le loro rispettive carriere. Tra vendette e trucchi, il film giunge ad un giro di boa inaspettato, che non farà altro che accrescere la tensione che si avverte durante tutta la visione. Un film a metà fra il drammatico ed il thriller e che non risparmia emozione alcuna.
Il trucco c'è, ma noi non lo vedremo mai.

Citazioni
- "Il segreto non fa colpo su nessuno. E' il trucco, quello sì"
- "Un vero mago è un uomo che sa fare ciò che gli illusionisti credono di fare"
- Robert Angier (Hugh Jackman) "Non credevo di trovare la verità sul fondo di una pinta" - "Ah, no? Eppure lo guardi spesso"
- "Siete un illusionista, non un mago! Dovete sporcarvi le mani per arrivare in fondo"
- Angier riferendosi a Borden "Quell'uomo mi ha rubato la vita, io gli ruberò il trucco!"
- "Berreste anche voi se conoscereste il mondo che conosco io!"
- Olivia (Scarlett Johansson) ad Angier: "Tu DEVI andare da lui. Vi meritate"
- "Un uomo va al di là di ciò che può creare"
- "Il sacrificio è il prezzo di un buon numero"

Carta d'identità
Titolo originale: The prestige
Titolo italiano: The prestige
Data di uscita (in Italia): 22 Dicembre 2006
Genere: Azione, Drammatico
Durata: 130'
Regia: Christopher Nolan
Da vedere: a chi crede che la vita di un illusionista sia tutta soldi e Claudia Schiffer. Un film potente e da un "gusto" agrodolce, rarissimo. Vale la pena perdervici. Sorprendente.

martedì 22 maggio 2007

Un delitto (im)perfetto

Potrà mai esistere un omicidio perfetto? Senza macchia, né sospetti? Le cronache italiane ci forniscono qualche esempio, ma non li assocerei alla bravura dei colpevoli, quanto più all’incapacità di chi indaga. Ad ogni modo, non sono qui a dare giudizi che non mi competono.
Foley, tenta di raccontarci come un difficile passato, possa affacciarsi sul presente trasformando la quotidianità in un incubo. E tutto proprio per via di quell’omicidio che sembrava essere senza sbavature…
Questa pellicola avrebbe lo scopo di sorprendere, di stordire e di mantenere “vivi” (probabilmente, qualcuno se ne è dimenticato) il fascino di Willis e la straordinaria bellezza di Halle Berry. A mio avviso, riesce solo nell’ultimo compito: Bruce (“purtroppo” non mi riesce nasconderlo), lontano da pistole e scazzottate, è la conferma del vino buono: più invecchia, più i suoi lineamenti si fanno apprezzare. Per non parlare degli sguardi. E del talento (lo davo per scontato). Il suo ruolo, seppur da antagonista, ne esalta le qualità (fra l’altro, in tutto questo, riusciamo a perdonargli persino la pancetta, a 52 anni è semplicemente “umano”). Halle, tra vestitini mozzafiato e primi piani altrettanto riconoscenti, ci fa rimpiangere i tempi di Catwoman e il premio Oscar come miglior attrice protagonista in “Monster’s Ball”. E ci fa anche riflettere su come possiamo dimenticare in fretta la sua bravura davanti alle carnose labbra di Angelina o alla naturalezza di Scarlett. E’un vero peccato.
Il resto è già visto. Purtroppo, una trama che poteva essere più interessante, si concretizza in dialoghi non nuovi, messaggi maniacali, bugie intuitive, emozioni già provate. E poi…
E’ nei minuti finali che l’adrenalina si fa sentire, i colpi di scena si susseguono senza sosta, probabilmente pure troppo. Ma almeno ci svegliano dal torpore. Per rendere altamente piacevole la visione, però, non è sufficiente o forse è troppo tardi.
All’uscita del cinema, mi è tornato alla mente il film “Spider” (2002- regia di David Cronenberg, con Ralph Fiennes), forse l’ho collegato agli innumerevoli flash back. Ho però una certezza: quello sì che fu un autentico capolavoro. E l’adrenalina, lì, scorreva nelle vene già dai primi minuti.
Sarò un po’ larga di maniche in questi voti? La mia bontà non si smentisce. Nemmeno da qui. Ma Bruce è pur sempre Bruce.

Trama
Rowena Price (Halle Berry) è una giornalista, alla ricerca di uno scoop che possa restituirle la giusta fiducia professionale. Fallito il tentativo che incastrava un Senatore, la protagonista, si trova fra le mani l’omicidio di un’amica di infanzia. Indagando sul delitto, la ragazza, scopre che tutte le possibili prove portano ad un potente pubblicitario: Harrison Hill (Bruce Willis). Aiutata dall’amico collega Miles (un interessante Giovanni Ribisi) riesce ad intrufolarsi, sotto falso nome, nell’azienda di Hill. Questo le permetterà di avvicinare colui che, sotto le vesti di un elegante imprenditore “sciupafemmine”, potrebbe nascondere una spietata ferocia.

Citazioni
- “Quello che serve per commettere un omicidio sono gli ingredienti giusti al momento giusto”
- Rowena Price (Halle Berry): “Tu dovresti essere il boss” – Harrison Hill (Bruce Willis) “Sì… è bello essere il boss”
- Harrison per fare colpo su Rowena: “Tu ordina due daiquiri, poi vengo a spiegarti come mai è il nettare degli Dei”
- “I segreti sono una bella cosa fino a che non ti beccano”

Carta d’identità
Titolo originale: Perfect Stranger
Titolo italiano: Perfect Stranger
Data di uscita (in Italia): 13 Aprile 2007
Genere: Thriller, Drammatico
Durata: 109'
Regia: James Foley
Da vedere: per chi ha voglia di immergersi in un thriller semi-psicologico senza trovarsi inorridito davanti a scene violente (e senza nemmeno doversi concentrare troppo!). O ancora, per chi non si stanca mai del fascino intramontabile di Willis (o per chi, dall’altra parte, si “consola” con la bellissima e sottovalutata Berry). Piuttosto inappagante.

giovedì 17 maggio 2007

Un solo uomo può cambiare il destino…

La prima neve, i colori dei fiori in primavera, l’acqua limpida, una bella canzone… la vita è fatta di emozioni, sta a noi percepirle, correre loro incontro ed aprire le braccia in attesa che vengano a ripagarci delle attenzioni che gli diamo.
Guardare un film è uno scambio di sensazioni, lo schermo è oggetto ma racchiude vita. Tocca a noi decidere se prenderne parte oppure voltarci ed ignorarla.
Raramente mi è capitato di fingere, generalmente vengo risucchiata da quel vortice di colori, parole e note così tanto da ristabilirmi a fatica.
Coinvolta emotivamente, sì, ma mai così tanto. “Le vite degli altri” merita l’ovazione di mani pronte a cogliere qualsiasi piccola sfumatura, mani di chi ha occhi capaci di notare quel piccolo fiore in un mondo di asfalto. O se meglio desiderate, sentimento puro in un universo di odio.
Una pellicola dedicata a chi ha la capacità di “ascoltare” e “vedere”, ma per davvero. Meritava l’Oscar senza ombra di dubbio.
E la meraviglia di questo film non sta solo nella crescente emotività, ma anche nella lentezza delle sue immagini (che di solito mi irritano), nei lunghi silenzi, nella difficoltà di accettare che anche noi ci schiereremo (pur non volendolo) ma soprattutto negli occhi tristi di Ulrich Mühe, che nella sua carriera “vanta” di pochi film (il più recente, girato ben dieci anni fa). La forza di questa pellicola non è nella bravura di un attore consolidato (non ve ne sono), né di un regista affermato (è al suo primo lavoro e ha 34 anni: tanto di cappello), ma sta proprio in tutta questa innovazione. Perché le “belle cose” non ci arrivano solo dall’America. Un film che racconta la storia (esattamente quella della Germania degli anni ’80, divisa fisicamente e politicamente da un dannato muro di cemento e mattoni), ma che è capace di dare priorità ad una meno imponente. Fatta di passione, volontà e coraggio. Tre vite che si ritrovano sospese sul filo della ragione, in attesa delle decisioni che uno prenderà per l’altro.
Immensa maestria. Da mettere i brividi.
Pare che alla fine non vinca nessuno. Solo la storia con i suoi potenti. E sino a qui nulla di nuovo. Ma quando, anche l’ultima raffica del vento di guerra smette di soffiare, la timida verità come un raggio di sole si fa largo fra le nuvole e viene a scaldare la terra: il potere non è nulla davanti ad un gesto buono. O almeno così mi piace pensare. Lasciatemelo credere, sino a che è possibile.
Mi fermo qui, non spendo parole in più che potrebbero minimizzare un film di rara bellezza. Certi fotogrammi non possono essere spiegati a parole, servono occhi.

Trama
Germania. Anni ’80. Anni di politica e divisione. Due concetti che caratterizzavano una nazione senza neppure risparmiare la cultura. Poiché a quei tempi, non così remoti, chi non si atteneva alle linee del Partito era considerato colpevole. Valeva per chiunque, anche per gli artisti.
Il drammaturgo Georg Dreyman (Sebastian Koch) porta nella Berlino Est il suo nuovo spettacolo teatrale, interpretato dalla bellissima attrice (sua compagna) Christa-Maria Sieland (Martina Gedeck). Alla prima, tra il pubblico, spicca anche uno spettatore d’eccezione: il Ministro della cultura Bruno Hempf (Thomas Thieme). Estasiato dallo spettacolo stesso (e soprattutto dalla protagonista), Hempf incarica il capo della Stasi (Ministero per la Sicurezza di Stato), Anton Grubitz (Ulrich Tukur), di arruolare un suo fedele uomo per spiare la coppia e fornirgli qualche prova concreta contro lo scrittore. Suddetto compito spetta all’inflessibile agente Gerd Wiesler (Ulrich Mühe) che si vedrà responsabile dei loro destini. Ma entrare nella vita degli altri, seppur per dovere e di nascosto, significa essere spettatore di emozioni, complice di passioni, vittima di vicissitudini che, in nessun caso, ti appartengono. Riuscirà la spietata freddezza dell’agente HGW XX/7 a rimanere impassibile davanti ad una (bellissima) storia di passione e coraggio?
Un film profondamente curato nei minimi dettagli, per questo intenso: la casualità non esiste, tutto è scelto con accurata metodica. I ritmi, per esempio, notevolmente lenti all’inizio, destano irrequietezza nello spettatore: in realtà sono necessari a creare un’emotività irrefrenabile, che cresce con il susseguirsi della vicenda.
Persino gli occhi tristi di Mühe sembrano cambiare...
E tu, stai ancora dalla parte giusta?

Citazioni
- “Lo scrittore è l’ingegnere dell’anima”, è un aforisma di Josif Stalin
- “Le persone non cambiano così facilmente, succede solo nelle commedie”
- Albert Jerska (Volkmar Kleinert): “Nelle mia prossima vita voglio fare lo scrittore di successo, come te, a cui non è impedito scrivere niente. Che resta ad un regista senza film? E’ come un attore senza ruolo”
- Georg Dreyman (Sebastian Koch) suona al piano una sinfonia di Beethoven. Al termine del pezzo commenta: “Sai cosa disse Lenin ascoltando questa sinfonia? “Non devo ascoltare questa musica o non finirò la Rivoluzione” … come si fa ad ascoltare questa musica e restare cattivi?”

Carta d’identità
Titolo originale: Das Leben Der Anderen
Titolo italiano: Le vite degli altri
Data di uscita (in Italia): 06 Aprile 2007
Genere: Drammatico
Durata: 137’
Regia: Florian Henckel von Donnersmarck
Da vedere: dedicato a chi ha il “palato” fine e ha voglia di gustarsi un “sapore” nuovo. Vi anticipo che non potrete fare a meno di desiderarlo ancora. Capolavoro.

domenica 13 maggio 2007

Le ossessioni di Jim

Ci sono attori che nascono per far ridere, il loro successo sta tutto in quella faccia “di gomma” che diverte anche quando in scena non c’è alcuna ilarità. Devono far ridere, o rischiano di perdere tutto il loro smalto. Jim Carrey è uno di questi. Lo osservi mentre indossa una buffa maschera verde, mentre salvaguarda animali indossando una camicia a fiori che non metteresti nemmeno se te la regalassero, oppure mentre litiga con sé stesso perché non riesce più a mentire al proprio figlio.
Non può “vestire” altri ruoli, gli andrebbero troppo stretti, il nostro Jim é l’emblema della comicità. Punto.
Aveva già tentato di farcelo capire: alla soglia dei 40 anni non voleva più essere visto come l’eterno “bambinone”, lanciava segnali di fumo con “The Truman show”, “Man on the moon”, “The Majestic”… commedie dal sapore leggermente drammatico che ci facevano storcere il naso. Divertiva, preoccupava, commuoveva… era capace di interpretare tutto questo con la stessa bravura. Ma noi dimenticavamo immediatamente quel lato “malinconico”, e tornava ad essere il solito “vecchio” Jim: “Una settimana da Dio”, “Dick&Jane - Operazione furto”, “Se mi lasci ti cancello”. E chi se ne importava se dentro di lui qualcosa stava cambiando. Il suo umorismo bastava a nascondere le sue fragilità.
Ma qualcuno l’aveva avvistato quel “fumo”. Eccome. Un regista dal cognome che assoceresti più ad un autodromo che ad una macchina da cinepresa (Joel Schumacher), aveva intuito che quel sorriso e quegli occhi vispi, arrivati a 45 anni, erano stanchi di divertire. “Number 23”, avrebbe sorpreso tutti.
La pellicola è un continuo crescendo di angoscia e di paura, le scene di vita quotidiana sono perfettamente miscelate a quelle immaginate dal protagonista (in riferimento al libro, che sarà poi la causa scatenante di tutto ciò a cui assisteremo), che si estraniano dalle prime per quell’effetto a metà strada tra il sogno e l’irreale. Vagamente retrò.
Man mano che Walter Sparrow (che non ha alcuni legami di parentela con lo Sparrow- Jack- che vedremo ai “confini del mondo” il 23 Maggio) (Jim Carrey) si addentra nelle pagine del romanzo dalla copertina “rosso sangue”, il film devia dal thriller al drammatico con un non so che di horror che vi terrà incollati alle poltrone “sin ce morte non vi separi”. Se ne ha bisogno, a volte, di pura adrenalina.
E bravo Jim, perfetto nel trasmetterci le sue inquietudini, paure ed i suoi misteri, con un’espressività che non ci fa rimpiangere il ciuffo di Ace. Bravo, bravissimo anche Schumacher a farci risolvere il “caso” verso metà del secondo tempo, per poi cogliere alla sprovvista con un finale ancor più terribile. Geniale l’idea di perseguitarci con il numero 23, facendolo apparire ovunque e comunque: sullo sfondo, sulle targhe, sulle insegne, nelle “nostre” date di nascita, nei nomi di parenti e amici, ci ritroveremo ad inventarci una serie di assonanze con termini che fra loro non c’azzeccano manco a volerlo, pur di ottenere quel dannato “ventitré” che non smetterà di rimbombarci nella mente.
Andatelo a vedere, vi prego, non lasciate che quest’ossessione perseguiti soltanto noi.

Ah, ieri ho dato uno sguardo (fortuito) all’incasso, e subito dopo al termometro vicino all’ingresso… entrambi segnavano… ventitré. Persone, gradi… un numero è solo un numero… no?

Tra un’angoscia e l’altra, “buttate” l’orecchio alle musiche (io lo faccio sempre, non l’avevate capito?), l’autore è Harry Gregson-Williams, lo stesso di “Le cronache di Narnia”, davvero lodevoli. Entrambe.

Trama
Walter Sparrow è un annoiato accalappiacani che, tra uno sbadiglio ed un altro, coltiva la passione per la lettura. Sposato da 13 anni con Agathta (Virginia Madsen), hanno un figlio e vivono felici nella nuova casa.
Un giorno, Walter, viene chiamato per catturare un cane di nome Ned. Ebbene, questo misterioso animale, cambierà per sempre la sua apparentemente monotona quotidianità.
Si troverà infatti tra le mani un romanzo, regalatogli dalla moglie, dal titolo “The number 23” che lo costringerà a rivangare in un passato che non gli sembrerà appartenergli.
Tra le pagine, infatti, scorgerà qualcosa di inquietante: il protagonista del libro, il detective Fingerling, avrà aspetti incredibilmente paralleli alla vita di Sparrow, sino ad intrecciarsi con verità agghiaccianti.
Un thriller mozzafiato con un finale inaspettato e che tormenterà anche fuori dalla sala. Provate a sommare i numeri che compongono la vostra data di nascita, o la targa della vostra automobile, o le lettere che compongono il vostro nome. Prima o poi… anche voi verrete risucchiati dal turbine di “quel” numero.

Citazioni
-“Come va il braccio?” – Walter Sparrow (Jim Carrey): “Sto aspettando solo che cada” – “Meno male non ti ha morso altrove!”
- Walter Sparrow (Jim Carrey) al figlio, che ha sorpreso in dolce compagnia: “E’ molto carina, assicurati che rimanga tale”.
- “La sua promessa non vale il sangue su cui era scritta”
- "Il nome è solo un nome e un numero è solo un numero, no?”
- “La gente prega, perché crede che farlo li possa aiutare”
- “Lei trovò il libro, o il libro trovò lei”
- “Non sei una persona cattiva che col tempo é migliorata. Sei una persona malata che è semplicemente guarita”
- “Non esiste il destino, ci sono solo scelte da fare. Alcune sono facili, altre No. E sono queste a dirci chi siamo”
- “Forse non è il finale che volevate ma sono sicuro che è quello giusto”.

Carta d'identità
Titolo originale: The number 23
Titolo italiano: Number 23
Data di uscita (in Italia): 23 Aprile 2007
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 95'
Regia: Joel Schumacher
Da vedere: a chi necessita di emozioni forti, questa pellicola ne ha da vendere. Angosciante.

sabato 12 maggio 2007

Quando anche i supereroi diventano malvagi...

I piccoli cinema di provincia sono intimi, modesti ma, soprattutto, sinceri.
Come già scritto tempo addietro, quando è necessario, vi lavoro. Stasera, era una di quelle sere nel quale ero utile. Ho fatto da spola tra la cassa di “Le vite degli altri” (una delle prossime visioni, certamente) e di “Spider-Man 3”, decidendo di restare indispensabile in quest’ultima. Mi avrebbe permesso di godermelo in compagnia degli amici. Questa premessa, nasce spontaneamente, osservando la “fila” che si andava formando davanti ai due ingressi: nel primo, un massimo di 15 persone; di fronte al secondo, naturalmente si raggiungeva (o superava) il centinaio. Sottolineando che il film di Donnersmarck è alla prima sera, quello di Raimi alla seconda settimana.
Situazione che fa riflettere: un colossal riempie le sale, un film da Oscar (miglior film straniero, 2007) non è così scontato.
Non mi resta che essere leale anche io. Non amo (con rare eccezioni) quelli che vengono definiti come “colossal”. Tra le otto lettere racchiudono quel che è troppo prevedibile. Successo, un seguito, un sacco di soldi (spesi e riguadagnati). Antifona che mi sa di semplice. Ma funziona.
Non amo “Spidey” e mi prostro davanti agli appassionati, a chiunque abbia tentato di scalare un grattacielo con ragnatele che uscivano dai polsi, a chi ha lavorato cinque anni per realizzare tre pellicole. Tutte con un successo spaventoso.
Mi piace “remare” controvento, mi rende una spettatrice dal palato fine, quindi non ho visto i precedenti (mai visto nemmeno “Titanic”, per dirvene una. E non mi strappavo nemmeno i capelli davanti ad una foto di Leo!). Non ne sentivo il bisogno. E’ grave? Ho visto, però, il III episodio. Continuate la lettura se, e solo se, mi ritenete all’altezza di recensire ugualmente.
Questa mia scarsa passione, potrebbe rendermi obiettiva. O forse “cattivella”, non essendone affezionata.
Non potendo raffrontare, oso.
Pellicola che esalta il digitale, con scene effetto ottovolante, fra grattacieli, sotterranei metropolitani e strade trafficate. Indubbiamente effetti speciali al primo posto nella scala dei “pro”. Un altro punto a favore, va all’ ”uomo di sabbia” (Flint Marko, assassino dello zio di Peter Park (prima della visione, mi sono documentata, apprezzate almeno l’impegno) che, casualmente coinvolto in un esperimento nucleare, assume la consistenza, appunto, di sabbia). Un nemico, pare, molto più potente dei precedenti. Sorte un po’ mielosa, ma accettabile, dopo tanta sfortuna. Altro personaggio interessante, anche se non nuovo, è il migliore amico Harry Osborn- di rilievo poiché in continuo movimento, imprevedibile ed enigmatico. Spunti interessanti anche nelle piccole parentesi comiche.
Gli aspetti negativi riguardano i tratti eccessivamente banali ed inconcepibili (balletti improvvisati, capigliature dark, maggiordomi che si “svegliano” da un letargo inspiegabile- come mai “sta” verità solo ora?).
Ma, più di ogni altra cosa, al fatto che non sono in grado di “allargare” la mente di fronte a macchine sospese nel vuoto da ragnatele nemiche, da cittadini che si affidano a supereroi che una volta si vestono di rosso e suscitano scandalo quando decidono che “il nero snellisce” (come se quello fosse il vero problema), a fotoreporter in cerca di scatti da “prima pagina” nei confronti di uno che al posto di prendere la metro preferisce le pareti (come si sarebbe comportato Corona?), al capo della polizia che guarda impassibile la figlia che sta precipitando nel vuoto perché tanto è sicuro che arriverà “Spider-Man”. E mi scuso per il sarcasmo.
Cercasi disperatamente appassionati che mi facciano cambiare idea.

Per essere una buona critica, dite che è dovere trattarli alla stessa maniera questi film?

Trama
Il male viene dal cielo e non si può evitare. Una volta che si impossessa di lui lo farà sentire invincibile, sia davanti ai nemici più pericolosi, ma anche alle persone più strette, coloro che, da sempre, custodiscono il segreto della doppia identità di Peter Parker (Tobey Maguire) (alias Spider-Man), da umile fotoreporter a idolatrato supereroe. Quel male gli “strapperà” l’anima, sino a trasmettergli un’aggressività indomabile, rendendolo sconosciuto anche di fronte a sé stesso.
Così si snoda la III puntata di “Spider-Man”. Quell’eroe che da sempre sconfigge il male (senza mai uccidere), che domina la città dai tetti più alti e che si aggira fra le strade lanciandosi a capofitto dai grattacieli con le sue ragnatele, oggi, ha un volto nuovo. Uccide, veste di nero e nutre avversità per chiunque provi a contraddirlo. Per questo, non solo affronterà nemici da poteri invincibili, ma anche la vita ordinaria oscillerà pericolosamente: lottare per un posto fisso, riconquistare l’amata Mary J (Kirsten Dunst) , rivendicare la morte dello zio, ristabilire i rapporti col migliore amico Harry Osborn (James Franco).
Tra momenti di adrenalina pura (ma solo quando veste la tutina aderentissima di Spidey) e di assopimento (certe scene potevano evitarle), dopo due ore e mezza di proiezione, ci si alza dalla poltroncina. Scusate ma poi, questo Maguire, cos’ha di tanto speciale?

Citazioni
- Flint Marko (Thomas Haden Church): "Non sono un uomo cattivo, é cattiva la mia sorte"
- "Sa ragazzo, io credo che una persona la fa la differenza. Ne sono convinto"
- "Mai ferire ciò che non potrai uccidere"
- Peter Park (Tobey Maguire) "Sono le nostre scelte a fare di noi ciò che siamo, abbiamo sempre la possibilità di fare la scelta giusta".
Carta d'identità
Titolo originale: Spider-Man 3
Titolo italiano: Spider-Man 3
Data di uscita (in Italia): 01 Maggio 2007
Genere: Azione, Avventura
Durata: 140'
Regia: Sam Raimi
Da vedere: per chi ha visto (e amato) i primi due, inevitabile non considerarlo già un trionfo. Per chi non si é mai affezionato a questo supereroe (come me), forse é preferibile iniziare dal I episodio (il migliore... così dicono). Indefinibile.

venerdì 11 maggio 2007

Emozioni... in musica




Un uomo ha la sua anima,


una vita ha le sue gioie ed i suoi dolori,


un amore ha la sua poesia...




i film hanno la musica.


E' sullo sfondo, ma lo stesso la sentiamo vibrare nel profondo.
Accompagna le immagini, come l'ombra sta dietro ad un qualunque oggetto...
eppure, senza di essa, un fotogramma sarebbe riflesso del vuoto. O quasi.

Ho acquistato le musiche di "Babel" - un film straordinario, conferma che Inarritu é un genio! - (composta da Gustavo Santaolalla, Oscar per la miglior colonna sonora 2007) ...

un premio, seppur importante, non descrive l'immensità di queste note...
bisogna ascoltare per comprenderne la grandezza.

Abbraccio chi prova le stesse emozioni
davanti ad un qualcosa di meraviglioso.
Seppur impalpabile, sempre infinito.
Come la musica...

giovedì 10 maggio 2007

I chiodi del peccato

Un film è speciale quando trasmette. Qualsiasi sensazione arrivi al cuore, rende eloquente la tua scelta di essere rimasto lì, ancora affascinato davanti al grandeschermo. La percezione di sentirti spensierato, oppure angosciato o ancora in un certo senso “appesantito” dalla trama a cui hai appena assistito, è qualcosa (qualunque cosa) che ti porti appresso appena le luci si riaccendono. Non si sa per quanto tempo l’avrai a fianco ma, se c’è stata, bisogna esserne grati. Il cinema plasma l’anima. Per chi lo vive intensamente.
Non nascondo (senza il timore di avere un dito d’accusa, puntato contro) un certo scetticismo iniziale. Insomma, c’avevano convinto che questo cinema italiano era cambiato, ci hanno raccontato dei nuovi fenomeni che hanno riportato a galla la magia degli “spaghetti e mandolini”anche nelle sale più prestigiose, e poi… nessuno “dei nostri” avrà l’onore ed il privilegio di sfilare sui 26 gradini di Cannes. Delusione? Molta. Rabbia? Un poco.
Così, tutto ad un tratto, l’amore per l’Italia al cinema è di nuovo sprofondato nell’oblio, di nuovo ogni regista è uguale a sé stesso, le problematiche affrontate non sono altro che quelle, e così via.
Invece, con il cuore in mano e l’infinita passione in spalla, sono entrata in sala. Ora, un’altra piccola parte di anima, si è arricchito di speranza. Quella che, noi tutti, dovremmo avere per i nostri connazionali.
Perché “Centochiodi” richiede una visione nostalgica e stupita. L’incredulità davanti ad un tramonto, alla luna meravigliosa che timida si specchia nelle acque del Po, al saluto di un passante, alla collaborazione gratuita. Malinconia per la gioia nelle feste di Paese, per la benevolenza sincera, per la musicalità della natura, i silenzi (che sussurrano mille parole) e gli sguardi di un interprete su cui mai avresti scommesso. Invece… non solo trovi una pace interiore davanti ai paesaggi ben fotografati da Fabio Olmi, ma anche disorientamento per uno che, agli albori, ti ricordava che “erano solo fatti suoi”. La somiglianza con Gesù Cristo gli ha portato fortuna: gli ha permesso di esprimere un talento che purtroppo era rimasto accollato a banali interpretazioni, a volte essere avvenenti sminuisce il resto. Dunque, a Raz Degan, è bastato uno sguardo al sole, uno stile un po’ selvaggio ed un piccolo appoggio vocale (è infatti doppiato da Adriano Giannini) per eclissare gli anni sabbatici spesi a girare il mondo. E quelle chiazze grigie, sull’incolta barba, non indicano solo il raggiungimento di un’età adulta, ma anche maturità professionale.
Non possono mancare gli elogi ad Ermanno Olmi, poiché presta una sincera fiducia verso la gente comune. Posso confermare che questa scelta si rivela ogni volta geniale: in ognuno di quei sempliciotti di provincia, abituati a vivere ai margini della realtà, non è costata alcuna fatica interpretare loro stessi con tanta naturalezza.
Per chi non vede bellezza in tutta questa semplicità: è ora di guardarsi attorno ed accorgersi di quanta meraviglia “abita” nelle piccole cose.

Trama
Un professore di filosofia (Raz Degan) dell’università di Bologna si trova implicato in un misterioso fatto avvenuto nella biblioteca dell’ateneo. Ricercato come primo indiziato, egli decide di allontanarsi dalla quotidianità ormai divenutagli ostile, stabilendosi in un casolare abbandonato sulle rive del Po. A questo punto, l’insegnante, si troverà a condividere le proprie vicissitudini con gli abitanti del Paese, scoprendo il fascino della genuinità.

Citazioni
“I libri amano il buio, come i pipistrelli. La luce li rovina”
“Non possiamo accontentarci di salvare noi stessi”
“C’è più verità in una carezza, che in ogni pagina di questi libri”
“Questa pace non viene dal mondo, ma da voi stessi”
“Sono del tutto responsabile, ma non colpevole”
“Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico”
“Chi rinasce nella verità, crede ad ogni cosa che il suo occhio vede”
“Dio, nel giorno del Giudizio, dovrà rendere conto dei mali e delle sofferenze del mondo”.

Carta d'identità
Titolo originale: Centochiodi
Data di uscita (in Italia): 30 Marzo 2007
Genere: Drammatico
Durata: 90'
Regia: Ermanno Olmi
Da vedere: per convincervi che, i colossal, sono importanti certo ma non sono fondamentali. Profondo.

venerdì 4 maggio 2007

Vi porto un messaggio dall'America

Sono (sarò… o almeno vorrei diventarlo) una biologa, mi occupo del ramo della “Biologia ed Ecologia animale e vegetale”, interessandomi soprattutto di quello ecologico. Scontato, per me, vedere e CREDERE a questo film.
E nonostante fossi preparata, nonostante capissi che ciò che Al Gore spiegava fosse solo la parte centrale di una situazione gravissima, è stato per me ugualmente inevitabile stupirmi. Perché sino a che, un bravissimo Professore dell’Università Statale di Milano, ti racconta di cosa accade quotidianamente sopra (sotto e ai lati) le nostre teste e ti fissa una data nel quale tu dovrai esporre quel che hai compreso di quanto detto, è un conto; vi assicuro che è completamente diverso afferrarlo da un uomo borghese, che ha tentato di spodestare il Signor Georgie “Dabliu Bush” (senza, purtroppo, il successo che meritava), che ha sorvolato per mesi e mesi il Polo Nord, Sud, le foreste e le Americhe, che ha studiato grafici, statistiche, scuole di pensiero e che ha dedicato ore ed ore alla realizzazione di quello che, in cento minuti, desidera che ascoltiate. (non ha cavalcato nel “giardino” di casa, o fatto jogging sulla riva di una spiaggia, o giocato a golf o letto il giornale che la segretaria porta ogni mattina)
Nel secondo caso percepisci che c’è qualcosa di più del dovere che traspare tra le righe scolastiche… c’è PAURA. Quella che spinge ad andare a cercare una GRANDE VERITà.
Il film non è altro che un’illustrazione di quanto la mano dell’uomo è responsabile di tanta distruzione, con un occhio di riguardo al riscaldamento globale e alle sue conseguenze. Mi piacerebbe raccontarvene qualcuna, ma confido nella vostra visione al film. Lui è più bravo di me a creare una sorta di allarmismo (anche perché la sua voce è più potente della mia!). E ce n’è bisogno. Chiunque deve provare terrore a guardare quei valori di temperatura in crescita, il ritiro dei ghiacciai (spaventoso!) o le sofferenze degli animali. Sgomento e rabbia, anche, perché non si sta facendo nulla per rimediare ai nostri sbagli. Perché ci permettiamo di credere che, siccome gli esiti li avremo a lungo termine, non è una situazione che ci riguarda. Senza pensare che toccherà alle nostre generazioni future contare quanto mancherà alla fine.
Tra un chiarimento e l’altro, Al Gore ci racconta la sua vita, iniziando dal motivo che l’ha spinto a girare il mondo con un “bagaglio” pieno zeppo di angoscia ed inquietudine. Ve la riporto perché è un pensiero bellissimo:
affronta il discorso raccontando della tragedia sfiorata per il suo piccolo di sei anni, del quale si sente tutt’oggi il maggior responsabile. Dopodiché, Al Gore, ci insegna questo (aprite il cuore):
“Il rischio di perdere mio figlio mi ha dato una forza che non avevo prima. Mi ha dato la forza di credere di poter perdere tutto”.
Dobbiamo aspettare anche noi qualcosa di orribile prima di decidere di agire?
Le differenze tra un documentario ed un film qualunque, sono innumerevoli. Potremmo sintetizzarle affermando che il primo ha lo scopo di informare lo spettatore, toccando qualsiasi argomento di carattere politico, culturale, scientifico,… dunque ha il dovere di “dire” la verità. Il secondo, non necessariamente, deve essere “vero”.
Vi prego, dunque, di credere in tutto quello che sentirete, senza esclusioni… e fate ciò che consiglia Al Gore all’inizio: davanti ad un verde prato, ad una collina in fiore o ad un ruscello, chiudete gli occhi… ma apriteli solo dopo un lungo respiro profondo… e ditevi “Tutto questo sparirà”.

“Le vittorie non sono vere vittorie. E le sconfitte non sono vere sconfitte ma possono servire a enfatizzare il significato di qualche piccolo passo avanti o a ingigantire quelle che appaiono già delle grandi sconfitte”.

“Non possiamo permetterci il lusso di aspettare e sbagliare di nuovo”

“Le tecnologie sono spesso più grandi degli essere umani”

“Ci serve una scossa improvvisa per avvertirci del pericolo”.

“Quelle spiegazioni, nel giorno del Giudizio, rimpiangeremo di non averle trovate più in fretta”

“Abbiamo tutto ciò che ci serve, tranne la volontà politica. Ma la volontà politica è una fonte rinnovabile”

“Siamo in grado di superare i nostri limiti ed il nostro passato?”

“Bisogna aprire una finestra nel quale si può vedere il futuro”

“E dai nostri figli ci sentiremo dire “Perché i nostri genitori non si sono svegliati prima?”. Prepariamoci a rispondere a questa domanda”.

“Non c’è nulla di speciale in quello che faccio. Ciò che è speciale è aver avuto il privilegio di conoscere queste cose quand’ero molto giovane.”.

(Una scomoda verità - 2007)



Un uomo non può perdere davanti alla verità.
Togliamoci dalla testa che un solo individuo non può cambiare il mondo. Lo poteva cambiare, eccome. Ma non gliel’hanno permesso.



Titolo originale: An inconvenient truth
Titolo italiano: Una scomoda verità
Data di uscita (in Italia): 19 Gennaio 2007
Genere: Documentario
Durata: 100'
Regia: Davis Guggenheim
Da vedere: a chi crede che Al Gore è un pazzo, documentatevi. Se nel guardare questo documentario provate paura, avete ragione. Fondamentale.

giovedì 3 maggio 2007

La politica di Sean Penn

Quando state per assistere ad un film dove nel cast figura il nome di Sean Penn, sappiate che la visione non sarà solo divano (o poltrona), bibita e pop-corn. La trama vi spremerà così tanto le meningi da farvi credere di aver appena assistito ad una lezione sugli orbitali atomici. Dunque, chi non ama il genere “impegnato”, non amerà mai Sean Penn.
Io, invece, lo adoro immensamente, senza pudore né mezzi termini, ed ogni sua interpretazione è una certezza di maestosa bravura. Inarrivabile.
Penn e la politica non corrono sullo stesso binario, ma nemmeno guardano nella stessa direzione: fuori dal set l’attore americano è, infatti, attivamente impegnato in una campagna contro “colui che dà vita a guerre che non esistono” (non ritengo opportuno fare nomi). Guardando “Tutti gli uomini del re” (e sapendo anche che Sean non interpreta ruoli casuali) ho avuto l’impressione che la scelta di vestire i panni di Willie Starks abbia avuto lo scopo (probabilmente, non solo questo) di denunciare una realtà politicamente preoccupante. Infatti, il film diretto da Steven Zaillian, dà voce (e la alza pure) a chi “vede” ma non può parlare, uno spiraglio di luce su ciò che gli uomini potenti si prendono cura di nascondere (almeno di qualcosa si preoccupano).
Il film ha inizio con un primissimo piano di Jake Burden (Jude Law), supino, intento ad osservare il soffitto di una casa che non avrà mai nome. Le sue parole, recitate davanti a sé stesso, mi hanno fatto supporre che avevo a che fare con una pellicola dove non avrei mai smesso di prendervi appunti: non mi sbagliavo, i contenuti di questo film sono più che profondamente veri.
“Per trovare qualcosa, qualsiasi cosa,
una grande verità o un paio di occhiali smarriti,
bisogna credere che nel trovarla se ne trarrà
qualche vantaggio”.

Willie Starks (Sean Penn) è un signor “nessuno”, impegnato a regolare gli affari dello Stato, in una piccola cittadina della Louisiana. La sua ordinaria vita, però, sterza improvvisamente quando si trova nelle mani uno scandalo politico: scopre, infatti, che i fondi destinati alla costruzione di una scuola furono spartiti da tre uomini politici impegnati nella realizzazione del progetto. La struttura, che fu di conseguenza realizzata con materiale “scadente”, subì un grave incendio dove morirono tre bambini.
Dopo la scoperta, Starks rivela pubblicamente la disonestà, prendendosi a carico tutte le sofferenze di un popolo, stanco di avere a capo potenti sleali. Uno di questi, Tiny Duffy (James Gandolfini) vede in quest’uomo, gonfio di orgoglio, un possibile nuovo Governatore e lo convince a candidarsi alle prossime elezioni.
Comincia così (dopo una serie di flash back che capiremo solo col procedere della storia), la campagna del nuovo candidato scortato dallo stesso Duffy, dalla segretaria Sadie Burke (Patricia Clarkson) e dal giornalista Jake Burden (Jude Law)- quest’ultimo definisce così la sua presenza in questa campagna: “Io sono solo qui per guardare, come un passante che guarda un incidente”, ma non sarà così.
Col passare dei giorni, però, il nostro Willie deduce che l’appoggio di Duffy è in realtà una “falsa mano amica”, in quanto si limita ad approfittare di Starks per ottenere ciò che desidera. Una volta “solo”- in realtà non si disferà del tutto di Duffy- Starks porta alla luce i suoi progetti, davanti ad un popolo fatto di (“zotici”) contadini e poveri di strada, promettendo loro strade, ponti, scuole, ospedali. Nella sua politica non c’è spazio per gli autorevoli: “Il potere è in mano ai senza potere e loro l’hanno affidato a me!”.
Con la più cruda (e perché no, anche crudele) sincerità, Willie conquista il “suo” popolo, vincendo alle elezioni con assoluta facilità (si sa, i poveri sono più numerosi dei ricchi). Una volta acquistato il pregevole titolo, però, il Governatore si troverà solo davanti alle sue promesse ed ai suoi desideri di uomo libero. Tutti i potenti, infatti, si schiereranno contro di lui, con quale denaro allora riuscirà ad avere ciò che aveva progettato?
Inizia così la vita politica di Starks, tra corruzioni ed amanti, tradimenti e nemici (un grande- e quando non lo è?- Anthony Hopkins interpreta il Giudice Irwin, che non solo metterà in difficoltà la carriera di Willie, ma risulterà una figura fondamentale per Burden).
Il politico è, per me, l’unico uomo in grado di mentire anche a sé stesso. Riuscirà, dunque, il Governatore a restare “pulito”, a perseguire ciò che andava predicando nella sua campagna, senza ricatti o corruzioni? Senza cadere in quell’arroganza e spavalderia che caratterizzano l’uomo potente? E come gestirà il suo inatteso successo?
Un film che si propone in modo tale che lo spettatore, nel corso della visione, abbia il quadro completo dei due protagonisti (Willie e Jake) ma solo a piccole dosi. Per Willie Starks (i riflettori sono puntati su di lui nella prima metà della storia) è il racconto della sua affermazione a uomo di potere; per Jake Burden (le attenzioni su di lui si spostano nell’altra metà del film), invece, è continuo tuffo nel passato, sino a che il tutto si unirà ad un presente che ci sarà ormai ovvio (in uno dei suoi monologhi, ci racconta di una misteriosa bionda- Anna Stanton (Kate Winslet)- con queste parole: “Tieni viva la sua immagine nella mente, anno dopo anno, fiducioso che un giorno sarà di nuovo così, anche se non ne hai mai la certezza. In Chiesa questa la chiamano Fede, la chiamerò così anch’io”).
A fine visione, ho pensato che non esiste il bene o il male davanti alla morte, il sangue che scorre, prima o poi, confluirà nello stesso “mare”...
Voi che ne dite?
Unico “neo”, il doppiaggio- soprattutto l’accento di Penn- “caricatura” di qualcosa che non esiste. L’ennesimo film perfetto interpretato da Sean Penn.
Da non perdere, per chi ovviamente è già consapevole che non si tratta di un popcorn-movie!

Schegge di film

-"Quello che non sai non ti farà soffrire”.
-“L’umano non è strutturato per la dignità”.
-“Quello che è importante, non é mai facile”.
-“Il Dio e il nulla hanno molto in comune”.
-Jake Burden (Jude Law) “E che cosa farà?”
Willie Starks (Sean Penn) “Manterrò la Fede perché il tempo riporterà ogni cosa alla luce. Io credo in questo”.
-Jake Burden (Jude Law) “Come va la campagna?”
Willie Starks (Sean Penn) “Più mi allontano da casa e meno mi ascoltano”.
-Willie Starks (Sean Penn) “Mi tengo vicino Duffy per ricordarmi che le “sviolinate” non sono mai vere”
Jake Burden (Jude Law) “Ma io? Che farò?”
Starks “Le “sviolinate” per me!”.
-Burden: “Truffa si chiama quando la fa chi non sa usare le posate giuste”.
-Sadie Burke (Patricia Clarkson): “Te lo dico appena prendo fiato!”
Willie Starks (Sean Penn)
“Lo stai sprecando per dirmi che non ce l’hai!”.
-Willie Starks (Sean Penn) “La diceria parla mille lingue”.

Un memorabile scambio di battute fra Willie Starks (Sean Penn) e il Giudice Irwin (Anthony Hopkins), vi propongo qui qualche frammento (è Starks che parla):
“La Terra è una cosa strana, non c’è altro che terra sotto il verde prato del Signore, che poi è terra anche quella”.
“Sono solo cose che non sa, solo chi non vuole sapere”.
“Giudice, non è con rabbia, è con dolore che la lascio”.

-Starks: “Se si ammazza il leone, tutto il resto della giungla è pieno di paura e si mette in riga”.
-Sadie Burke (Patricia Clarkson): “Era bella?”
Jake Burden (Jude Law): “Chi?”
Sadie: “La tr…a sui pattini”
Jake: “Non so! Io le ho guardato tutto il tempo i pattini!”.
-Starks rivolto a Burden: “Ti ho detto di scavare, non graffiare in superficie!”.
-Jake Burden (Jude Law) “Un giorno lo farà comunque!”
Figlia dell’ex Governatore, Anna Stanton (Kate Winslet): “Fara cosa?”
Jake: “Crollerà su sé stessa, come ogni cosa”.
-Jake Burden (Jude Law) “La Sider Bank é a Savana?”
Bibliotecaria: “C’era, fino al ‘38”
Jake: “Cosa successe nel ’38?
Bibliotecaria: "Fu rilevata dalla Georgia Fidelity”
Jake: "Lei ha idea di chi fosse il Presidente?”
Bibliotecaria: “Franklin Roosevelt”
Jake: “Signora???!!! Della Banca!”
-Willie Starks: “Si può sempre cavare del bene dal male, da qualsiasi cosa da una poesia, in politica...”.
-Willie Starks: “Un uomo preferirei distruggerlo, che comprarlo!”
-Giudice Irwin (Anthony Hopkins) a proposito della politica di Starks: “Sfondava le finestre chiuse e faceva entrare aria buona. Ma ora sta distruggendo tutta la casa”.
(Tutti gli uomini del re - 2006)


Titolo originale: All the king's men
Titolo italiano: Tutti gli uomini del re
Data di uscita (in Italia): 22 Dicembre 2006
Genere: Drammatico
Durata: 125'
Regia: Steven Zaillian
Da vedere: come ribadito nella recensione, film interessante per chi ama il genere "impegnato". Difficoltoso, ma molto bello.

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